Una proposta basata su un’analisi storico-politica dalla fine dell’impero ottomano sino ai nuovi fondamentalismi.
Quando si guarda alla realtà attraverso un vitreo a forma di prisma archimedeo eptagonale, si nota che ciò che si vede dipende dall’angolatura dalla quale si guarda, dallo spessore del prisma corrispondente a quell’angolo e dalla conseguente diffrazione della luce. Accade un fenomeno simile quando si vuole guardare la storia e la situazione attuale del Medio Oriente, specie la storia recente che va dalla caduta dell’impero ottomano fino ai nuovi fondamentalismi. In tanti in Medio Oriente – almeno dove non c’è la guerra – ci rinunciano, rassegnandosi a semplice chiacchiericcio da qahwa,a suon di dadi di backgammon (un’evocazione del qadar = “il caso”?) e gorgoglio di narghilè.
Eppure nella comprensione di quella storia, nell’imparare la sua lezione, nel rintracciare i filoni storici e ideologici per sperare di trovare il bandolo della matassa c’è molto da guadagnare. Sicuramente si riducono sensibilmente le perdite. Se, infatti, la storia generalmente non perdona, la storia in Medio Oriente schiaccia inesorabilmente chi non la sa leggere e reggere rettamente.
Il libro Medio Oriente senza cristiani. Dalla fine dell’impero ottomano ai nuovi fondamentalismidi Riccardo Cristiano si avventura in una lettura fitta e documentata dell’ultimo secolo per cercare di capirne l’orientamento e le derive e per proporre una sostenibile posizione ai cristiani divenuti sempre più una «minoranza» nella loro terra d’origine. Riccardo Cristiano è vaticanista del Giornale Radio Rai, non nuovo all’ambito della ricerca geopolitica sul Medio Oriente e grande conoscitore della rivoluzione iraniana e della recente storia libanese sulle quali ha pubblicato libri in precedenza.
Il libro suddiviso in tre parti parte considerando gli ultimi tristi avvenimenti che hanno segnato sconvolto l’Iraq e la Siria, ma che attualmente sono anche “a sud di Roma”. Seppure i jihadisti non siano tutto l’islam, l’A. mette in luce con chiaroveggenza quanto viene sostenuto da chi cerca di guardare tutto il quadro, ovvero il silenzio e la non chiarezza più diffusa con i quali una porzione più grande del mondo islamico assiste all’attuale orrore tacendo. Scrive Riccardo Cristiano: «La chiarezza sul jihad è un’impellenza per tutti, ed è nelle mani dei musulmani, che per preservare un futuro alla loro religione devono trovare forze per fornire una risposta tanto urgente quanto chiara, anche nelle azioni di chi lo rappresenta politicamente».
Oltre alla chiarezza, queste parole risultano profetiche dato il risveglio anche militare di nazioni a maggioranza islamica (come la Giordania e l’Egitto) che, sentendo il pericolo del terrorismo alle loro porte, non si fermano più alle parole, ma sono passate all’azione. Ma queste azioni, importanti e sporadiche al contempo non bastano. Urge mettere in atto quanto richiede da tanto tempo Sua Beatitudine Louis Sako, Patriarca della Chiesa Caldea il quale, parlando ad Anversa a settembre scorso in un incontro di dialogo interreligioso promosso dalla Comunità Sant’Egidio, ha affermato la crucialità di un’ermeneutica del Corano, di quei versetti usati dai terroristi per legittimare i loro orrori in nome di Allah. Il Patriarca ammonisce continuamente i leader musulmani: «I cristiani possono andarsene via, ma se non vi sbrigate a cambiare registro la vostra rischia di diventare una religione senza futuro… Non basta più leggere i versetti coranici a voi cari, bisogna leggere anche gli altri, e archiviare l’interpretazione letterale dei testi sacri, come abbiamo fatto noi con la Bibbia. Perché il mondo è cambiato».
Il cuore del libro è senz’altro la considerazione di Al-Taif. Quell’incontro che non solo ha messo fine alla lunghissima guerra civile libanese durata 15 anni, ma che ha anche messo le basi per un possibile «sistema di democrazia consensuale». L’A. presenta Taif come chiave di una prospettiva regionale di pace iscrivendosi al filone che vede nello spirito degli accordi di pace di Taif una prospettiva di “democrazia post-individualista”, che corrisponde alle caratteristiche profonde della cultura semita, nella quale l’individuo non è un “io sovrano”.
Questo argomento, sviluppato già dall’A. nel libro con Samir Frangieh, ha come chiave di volta e di svolta la formula “garanzie alle comunità e diritti alle persone”. Questa chiave è esportabile anche a Siria e Iraq in un sistema non settario, ma statale, dove la partizione confessionale delle più alte magistrature è incaricata di assicurare la fine degli egemonismi di una sola comunità, la camera eletta su base partitica assicura i diritti politici e quindi di cittadinanza, il Senato su base comunitaria rassicura tutti sull’impossibilità che domani qualcuno cerchi di eliminare l’altro.
Questo sistema è chiamato dall’A. “democrazia consensuale”. È una via fragile, ma è forse la via d’uscita dal dilagare odierno del settarismo odierno, che elimina gli stati in favore delle “nazioni” e della Umma.
In un Medio Oriente il fondamentalismo prende tanti volti quanto sono diverse le fazioni dell’islam, ma, secondo l’A., il tutto si riannoda e si riallaccia alla stessa radice radicale lanciata da Said Qutb. In questo contesto di guerra dove tutti hanno da perdere, i cristiani non possono che essere mediatori tra sunniti e sciiti, fautori di una conferenza regionale di pace che isoli i due totalitarismi e proponga non la pace come opposto della guerra, ma un progetto comune, di cui Taif è probabilmente la sola applicazione possibile.
Riccardo Cristiano guarda in questo libro il prisma complesso e irregolare del Medio Oriente. Oltre al premio del coraggio, merita il premio della cultura capace anche di una lettura. Certamente il prisma visto da altre prospettive (inclusa quella del sottoscritto) offre altri panorami, altre prospettive. Per cui, pur non sottoscrivendo tutta l’analisi, ritengo che la proposta di ruolo mediatore dei cristiani sia una prospettiva felice e più che condivisibile. D’altronde, è anche la prospettiva condivisa dal «sunnita dei Papi», Muhammad al-Sammak, consigliere politico e religioso del Mufti della Repubblica Libanese, il quale in un’intervista durante il Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente mi disse: «La fuga e l’emigrazione dei cristiani è una grave perdita che infligge Medio Oriente. A causa di questo esodo, l’Oriente perde la sua identità, la sua pluralità, lo spirito di tolleranza e del rispetto reciproco. Anche a livello di pratica religiosa, il musulmano ha bisogno dell’altro cristiano per praticare i valori morali della sua fede, come la tolleranza e il rispetto. Pertanto, l’immigrazione lacera e sfibra il tessuto ricco di questo Oriente indebolendo le nostre società e conducendole a un pericoloso precipizio». Parole profetiche…
Fonte. Zenit