All’udienza generale, in piazza San Pietro, Papa Francesco arriva a bordo della jeep bianca insieme con alcuni bambini. Sul sagrato è accolto, tra rulli di tamburi, da gruppi di sbandieratori dei borghi e sestieri fiorentini.
Nella catechesi, in cui prosegue il ciclo di meditazioni sulla passione per l’evangelizzazione, Francesco si sofferma sulla prima via evangelizzatrice: la testimonianza. Il Pontefice invita a mettersi in ascolto dell’esortazione apostolica di San Paolo VI Evangelii nuntiandi, che definisce la “magna charta dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo”. E’ stata scritta nel 1975, ma è come se fosse stata scritta ieri. È “attuale”, aggiunge a braccio. Evangelizzare, afferma Francesco, non è “una semplice trasmissione dottrinale e morale”.
È prima di tutto testimonianza: non si può evangelizzare senza testimonianza; testimonianza dell’incontro personale con Gesù Cristo, Verbo Incarnato nel quale la salvezza si è compiuta. Una testimonianza indispensabile perché, anzitutto, il mondo ha bisogno di «evangelizzatori che gli parlino di un Dio che essi conoscano e che sia loro familiare» (EN, 76). Non è trasmettere un’ideologia o una dottrina – tra virgolette – su Dio, no. E’ trasmettere Dio che si fa vita in me: quello è testimonianza; e inoltre perché «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, […] o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (ibid., 41). La testimonianza di Cristo, dunque, è al tempo stesso il primo mezzo dell’evangelizzazione (cfr ibid.) e una condizione essenziale per la sua efficacia (cfr ibid., 76), perché sia fruttuoso l’annuncio del Vangelo.
La testimonianza di una vita cristiana deve essere illuminata dalla fede. Da una fede, spiega il Papa, “che trasforma le relazioni, i criteri e i valori che determinano le scelte”. La testimonianza “non può prescindere dalla coerenza tra ciò che si crede e ciò che si annuncia e ciò che si vive”.
Una persona è credibile se ha armonia tra quello che crede e quello che vive: il come credere e come vivere. Tanti cristiani soltanto dicono di credere, ma vivono di un’altra cosa, come se non fossero. E questa è ipocrisia. Il contrario della testimonianza è l’ipocrisia. Quante volte abbiamo sentito “ah, questo che va a Messa tutte le domeniche, e poi vive così, così, così, così”: è vero, è la contro-testimonianza.. Ognuno di noi è chiamato a rispondere a tre domande fondamentali, così formulate da Paolo VI: “Credi a quello che annunci? Vivi quello che credi? Annunci quello che vivi?” (cfr ibid.). Non ci possiamo accontentare di risposte facili, preconfezionate. Siamo chiamati ad accettare il rischio anche destabilizzante della ricerca, confidando pienamente nell’azione dello Spirito Santo che opera in ciascuno di noi, spingendoci ad andare sempre oltre: oltre i nostri confini, oltre le nostre barriere, oltre i nostri limiti, di qualsiasi genere.
La testimonianza di una vita cristiana, aggiunge il Papa, comporta anche “un cammino di santità”.
La santità che non è riservata a pochi, no; che è dono di che Dio e richiede di essere accolto e fatto fruttificare per noi e per gli altri. Noi scelti e amati da Dio, e dobbiamo portare questo amore agli altri.
Francesco sottolinea che i “destinatari dell’evangelizzazione non sono soltanto gli altri, coloro che professano altre fedi o che non ne professano”.
Ma anche noi stessi, credenti in Cristo e membra attive del Popolo di Dio. E dobbiamo convertirci ogni giorno, accogliere la parola di Dio e cambiare vita: ogni giorno. E così si fa l’evangelizzazione del cuore. Per dare questa testimonianza, anche la Chiesa in quanto tale deve cominciare «con l’evangelizzare sé stessa». Se la Chiesa non evangelizza sé stessa rimane un pezzo da museo. Invece, quello che la aggiorna continuamente è l’evangelizzazione di sé stessa.
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