Una rifugiata diventa ingegnere, e dopo 24 anni ritrova benefattore che la salvò!
.Aveva 5 anni quando un operatorio umanitario le regalò una bicicletta in un campo profughi. Oggi l’ha ritrovato miracolosamente. «Quella bici fu la svolta della mia vita»
Il gesto di gentilezza di un operatore umanitario ha cambiato la vita della migrante Mevan Babakar. Ventiquattro anni dopo, è finalmente riuscita a incontrarlo per dirgli grazie. La storia vede protagonisti Egbert e Mevan. Era l’inizio degli anni Novanta, all’epoca Mevan aveva 5 anni, viveva con sua madre in un centro di accoglienza nella città olandese di Bergen aan Zee ed era fuggita dal nord dell’Iraq, attraversando insieme ai genitori la Turchia, l’Azerbaijan e la Russia prima di raggiungere i Paesi Bassi, dove hanno vissuto in un campo nella città di Zwolle. Come raccontato dal sito web dell’Unhcr, la famiglia ha conosciuto nel campo profughi olandese Egbert, un operatore umanitario che lavorava lì e che, commosso dalla storia della bambina, le regalò una bicicletta.
Un regalo inaspettato che contribuì a cambiarle la vita
«Ricordo che il mio cuore esplodeva di gioia – racconta oggi Mevan – Non potevo credere che fosse mia. Quando qualcuno ti dà qualcosa che è più di quello che meriti, devi riconsiderare quanto vali». Non fu un semplice regalo. «Non era per la bici in sé. Quel regalo e i sentimenti che ha scatenato hanno finito per diventare la misura del mio stesso valore» dice Mevan. Dopo poco, la famiglia si trasferì a Londra. Mevan è cresciuta, ha avuto la possibilità di andare a scuola e si è laureata in bioingegneria all’Università di Sheffield e ha iniziato una carriera nei media. Ma la sua storia di migrante l’ha sempre contrassegnata, è sempre stata presente nella sua mente e nel suo cuore. E quel regalo nei suoi primi anni di vita, non l’ha mai scordato.
Ecco perché, in un lungo excursus a ritroso della sua vita, ha cercato di risalire all’uomo che l’aveva aiutata e le aveva dato nuove speranze.
È così tornata nel paese dove c’era il campo profughi. «Sono andata al Comune e alla biblioteca locale e ho chiesto a più persone possibili. Nessuno ne sapeva molto. Un bibliotecario ha pensato che il campo potesse essere all’ospedale». Ma era difficilissimo trovare l’uomo senza neppure ricordare il suo nome. Eppure Mevan non si è arresa e ha deciso di raccontare con un tweet la sua vicenda. Il suo tweet iniziava così: «Ciao Internet, è una lunga storia, ma io ero una rifugiata». Poi ha raccontato tutto. Non avrebbe mai pensato di poter risalire a Egbert.
E invece il potere della Rete è stato inarrestabile.
Pochi minuti dopo, il suo post era stato ritwittato centinaia di volte. Tante persone si sono adoperate per rintracciare Egbert. Nel giro di un’ora, Mevan è stata invitata da un giornalista locale nel suo ufficio. Hanno registrato un’intervista per i social. Alla fine della giornata, Mevan aveva rintracciato la persona che cercava, e il martedì lei e il giornalista sono andati a fare visita ad Egbert, ritrovato in Germania. «È stato meraviglioso – dice lei – . È stato come vedere un parente che non vedi da tanto tempo».