Durante la recente visita del ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini a Kiev, Poroshenko ha invitato anche l’Italia e la Gran Bretagna a partecipare ai negoziati con Mosca per trovare una soluzione alla crisi, ritenendo i due Paesi tendenzialmente favorevoli alle istanze ucraine. Il ministro della Difesa Valery Geletey ha dichiarato dal canto suo che non ci sarà nessun’altra tregua unilaterale da parte delle forze armate ucraine e che ogni negoziato con i ribelli filorussi dovrà essere preceduto dalla rinuncia da parte di questi ultimi a usare le armi. Il ministro degli Esteri di Kiev, Pavel Klimkin, infine, ha affermato che il governo ucraino farà tutto il possibile per riprendere la Crimea, pur ribadendo l’intenzione di garantire ampia autonomia alla penisola e alle regioni orientali, così come previsto dalla proposta del presidente Poroshenko.
La situazione, dunque, rimane non semplice. Chiaramente, il governo di Kiev non può riconoscere come legittimo il referendum tenuto sotto la spinta russa che ha sancito la separazione della Crimea, ma rendere esplicita l’intenzione di fare tutto il possibile per ristabilire la sovranità ucraina sulla penisola difficilmente aiuterà il processo di pace. Prese di posizione come questa sono comprensibili come segnali lanciati alla propria opinione pubblica, ma rischiano di far salire ulteriormente la tensione al tavolo negoziale.
Allo stesso modo, è giusto chiedere che il cessate il fuoco sia bilaterale, ma è irrealistico esigere la deposizione delle armi prima dell’inizio di un negoziato.
Anche in Ucraina e in Russia, come in molti altri Paesi europei e non solo, sembra oggi sempre più difficile per i politici parlare al proprio popolo e cercarne il sostegno proponendo soluzioni ragionate e realistiche. Si preferisce solleticare gli istinti, procedere per slogan, far credere che esistano sempre soluzioni semplici a problemi complessi e che sia solo un problema di determinazione nel perseguimento dell’obiettivo. Spesso non è così, e il caso dell’Ucraina è emblematico in proposito.
La proposta di un’ampia autonomia garantita costituzionalmente alle regioni con forte presenza russa è forse la prospettiva migliore per uscire dall’impasse attuale, ma dovrà essere curata nei particolari, con pazienza e lungimiranza. Sarà necessario affiancare la stabilizzazione interna dell’Ucraina a un accordo internazionale fra Nato e Russia sugli equilibri militari nella regione e tutto il pacchetto dovrà essere spiegato e condiviso con la popolazione che alcuni hanno cinicamente fomentato per cercare deliberatamente di far scoppiare un conflitto.
L’Unione europea avrebbe sia la vocazione ideale che le competenze tecniche per svolgere il ruolo essenziale del mediatore, ma ne avrà la volontà? Oltre alla gestione dell’economia, ecco un altro fronte rispetto al quale l’Ue dovrà cambiare, se vorrà avere ancora senso in futuro. Di Stefano Costalli per Agensir
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