Sono passati undici mesi da quella sera del 17 settembre 2018 nella quale un bussare alla porta ha cambiato la vita di padre Gigi. Quel giorno la notizia del suo rapimento è stata ripetuta in tutti i TG
Il nonno teneva per mano il nipotino e indicava i poderosi alberi del viale. Raccontava che niente è più bello di un albero.
– Guarda, guarda gli alberi come lavorano!
– Ma che cosa fanno nonno?
– Tengono la terra attaccata al cielo! Ed è una cosa molto difficile
P. Pier Luigi mi aveva passato un foglio con questo racconto sugli alberi dopo una mia catechesi sulla famiglia, paragonata ad un albero, nella sua comunità di Bomoanga nel Niger. Amiamo entrambi, da sempre, i simboli. E p. Gigi di simboli ne usava spesso nelle sue omelie e nelle sessioni di formazione, tanto in Italia durante i suoi soggiorni, che nel Niger. Nella ‘sua’ basilica dedicata allo Spirito tutto era simbolico. Dalla porta d’ingresso alle finestre per finire col granaio e l’altare, nient’altro che simboli da scoprire e celebrare. Adesso l’albero è lui.
Un albero che, come dice il racconto che mi ha passato quasi con pudore per ringraziare, tiene la terra attaccata al cielo. Mai come adesso, radicato nella sabbia della savana da anni e in particolare dopo il suo assurdo rapimento, è un albero che fa di tutto per tenere la terra, questa stolta e drammatica terra del Sahel, attaccata al cielo.
Li chiamiamo rami in alto e radici in basso. Sono la stessa cosa. Le radici si aprono la strada nel terreno e allo stesso modo i rami si aprono una strada nel cielo. In entrambi i casi è un duro lavoro!
Questo p. Gigi lo sa e lo vive come mai prima. Ben radicato nel terreno sabbioso del suo popolo e coi rami, le sue braccia sempre aperte, all’incontro con le speranze e le sofferenze dei poveri. Sa bene che molto dipende da lui e da altri che, come lui, hanno solide radici e rami per tenere insieme i pezzi di questo mondo frammentato. Il ‘cielo’ in genere si dimentica o lo si usa solo quando serve come sfondo per i panorami ‘religiosi’ o come giustificazione delle iniquità. Nella sua cattività Gigi sta facendo proprio questo, resiste alla tentazione di lasciar perdere la lotta e abbassare le braccia. Non lo farà perché non è solo.
– Ma nonno, è più difficile penetrare nel terreno che nel cielo!
– Eh no, bimbo mio. Se fosse così i rami sarebbero belli dritti.
Guarda invece come sono contorti e deformati dallo sforzo. Cercano e faticano. Fanno tentativi tormentosi più delle radici.
Nella chiesa del centro storico genovese di Santa Maria di Castello c’è un Cristo posto in croce e quasi seduto tra due rami che si divaricano. C’è l’usanza di mettervi attorno le foglie per il periodo pasquale, come segno di vita, una vita che nasce come un germoglio dalla croce. E’ questo il primo albero che continua a tenere attaccate terra e cielo. Proprio quello che Gigi sta facendo da undici mesi in modo unico e non è il solo a praticarlo. E’ una fatica condivisa da altri nel Sahel e altrove dove si tendono le braccia e le mani.
–Ma chi è che fa fare tutta questa faticaccia?
– E’ il vento. Il vento vorrebbe separare il cielo dalla terra
Ma gli alberi tendono duro. Per ora stanno vincendo loro.
Di P. Mauro Armanino per MissioniAfricane.it
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