“Il primo obiettivo della presidenza italiana? Potrebbe essere quello di farci sentire un po’ di più cittadini europei, dando un senso alla cittadinanza Ue”: Piero Graglia parte inaspettatamente da qui per parlare della presidenza di turno dell’Unione europea che il governo di Matteo Renzi assume da oggi per la seconda metà del 2014. Tra i massimi studiosi del federalismo, biografo di Altiero Spinelli, Graglia insegna Storia dell’integrazione europea e Storia dei trattati e della politica internazionale all’Università degli Studi di Milano. Ha inoltre insegnato in atenei all’estero, in particolare in Romania, Francia e presso l’università Georgetown di Washington, dove è stato per sei mesi nel 2012 quale Italian Fulbright Visiting Professor. È autore della breve monografia intitolata “L’Unione europea”, tra le più lette sull’argomento. Colleziona fumetti (tra i suoi preferiti Dylan Dog e Tex) e – da buon europeista – conosce più lingue.
Professore, dal suo angolo di osservazione, a che punto si trova la “casa comune”?
“Si dice che la storia sia maestra di vita, ma in genere parla a studenti distratti… Credo sia bene ricordare, ancora una volta, che il processo d’integrazione europea non nasce per motivi o interessi economici, anche se oggi si parla quasi solo di questo. In realtà esso prende avvio nella precisa convinzione che, dopo la seconda guerra mondiale, occorresse ridare pace al continente, costruendo legami tra i popoli e gli Stati. Progressivamente – e soprattutto negli ultimi anni, in ragione della crisi – l’economia ha preso il sopravvento sulla politica, ma così non si va da nessuna parte. La Banca centrale europea, ad esempio, decide la politica monetaria senza avere un vero referente politico, senza una politica economica condivisa. Cosa che non avviene per la Federal Reserve americana, il cui referente è il presidente degli Stati Uniti. L’Ue marcerà ancora se sarà una costruzione politica e democratica”.
Come si può rimediare a questa situazione?
“È chiaro che l’interdipendenza e l’integrazione economica necessitano di un governo dell’economia. Un impulso in tale direzione oggi come oggi può venire solo dal Parlamento europeo oppure da un gruppo di Stati che decidesse di approfondire l’integrazione politica, che per il momento è rimasta a metà strada”.
Ma lei così delinea un’Europa a “geometrie variabili”?
“Tutti e 28, insieme, non si arriverà a una decisione su questo punto fondamentale. Un’Europa a più velocità può essere, in questa fase, una soluzione, purché si proceda con buon senso, con un progetto chiaro, e, non di meno, che tale progetto resti aperto a tutti gli Stati membri, con una visione inclusiva”.
Il 2 luglio il premier italiano sarà a Strasburgo per presentare all’Europarlamento il programma semestrale. Alla luce delle recenti elezioni, le forze europeiste che detengono una netta maggioranza nell’Emiciclo riusciranno a serrare i ranghi e a portare il loro contributo per una Unione rinnovata?
“I numeri ci sono. Popolari e Socialisti-democratici potrebbero trovare dei punti d’intesa facendo convergere altre forze europeiste. Fra l’altro in sede europea ci sono dei personaggi che credono realmente all’unità europea: lo stesso Juncker, designato alla carica di presidente della Commissione, il leader liberaldemocratico Verhofstadt, alcuni eurodeputati tedeschi, i verdi francesi… Ci sono persino degli euroscettici che potrebbero essere conquistati alla causa di un’Europa diversa, più efficace. Si tratta però di affrontare alcuni nodi discriminanti”.
Per esempio?
“Pensiamo alla questione del bilancio Ue. Chi parla di maggiore integrazione senza poi adoperarsi per un aumento del budget comunitario, magari dotato di risorse finanziarie proprie, fa solo della retorica. Occorre fornire all’Ue i mezzi per agire”.
L’Italia torna alla presidenza di turno dopo 11 anni. Quali priorità dovrebbe portare a Strasburgo il presidente del Consiglio?
“Proprio in questa fase è essenziale riportare i cittadini e la cittadinanza europea al centro del dibattito. Il senso di appartenenza all’Ue potrebbe rafforzare la responsabilità delle istituzioni e, al contempo, riavvicinare i cittadini all’Ue. I segnali di distanza tra elettori e Unione si sono del resto misurati proprio con le elezioni di maggio. Ugualmente importante è il superamento dell’austerità imposta in questi anni, che ha peggiorato gli effetti della recessione economica. Per questo è importante che l’Italia rafforzi i legami con la Germania, convincendo i tedeschi che la sola ricetta del rigore non funziona, anzi è sbagliata. Qualche debole segnale lo abbiamo avuto dal Consiglio europeo della scorsa settimana. Servono investimenti produttivi, come ha fatto la Fed nel momento più difficile della crisi in America”.
Il Mediterraneo continua a essere una tomba per un numero infinito di migranti. Questo è un problema da portare in sede europea?
“Sì, è un’emergenza non solo italiana e la risposta dev’essere comune. Ma anche qui emerge l’impegno di approfondire l’integrazione politica. Il centro e il nord dell’Europa vanno coinvolti in una risposta rapida, concertata e solidale. Del resto i flussi migratori non possono essere arrestati; vanno affrontati nel modo giusto, anche considerando che possono essere, come è avvenuto in passato, un’occasione positiva per i nostri Paesi”. A cura di Redazione Papaboys*
* fonte: Agensir
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