Ieri sono scesi in piazza “loro”, quelli di Sveglia Italia. Organizzati dalle associazioni Lgbt e Arcigay hanno manifestato a migliaia in quaranta città a favore delle Unioni Civili.
Da quando “La Croce”, all’indomani della Piazza del 20 giugno scorso, mi chiese di scrivere sul quotidiano di Adinolfi un articolo “anche critico” alla manifestazione che li vedeva tra gli organizzatori, sono in molti a chiedermi cosa ne penso delle piazze di ieri. E io rispondo che sono contrario allo stesso modo. Non mi interessa sapere quanti sono stati. Il dolore e la fatica di vivere, le loro richieste di diritti, non hanno un peso a seconda di quante teste ci sono sotto gli striscioni, di quanti figli (con uteri specifici) vengono issati sulle spalle e usati come vessilli perché bisogna sventare il complotto dei cattivi. Se è dolore è dolore, se è vita è vita. Così come se è amore è amore. Non si sceglie ciò che è bene o ciò che è male a colpi di megafoni e di urla. Se penso all’amore penso ad una persona che amo. E siccome per amare bisogna conoscersi, desiderarsi e desiderare di conoscere l’altro, io nella piazza mi perdo. Nella piazza le voci si uniscono in cori e qualcuno conterà le presenze. Ma io non voglio solo sapere cosa è la verità ma anche le persone che ci vanno di mezzo. La domanda sulla verità, da Ponzio Pilato in poi, è una domanda che ha il viso di una persona.
Cara persona omosessuale o eterosessuale che ieri hai sfilato per veder riconosciuti i tuoi diritti o quelli di altri, mi troverai disposto ad ascoltarti solo davanti ad un caffè e non sotto uno striscione. Sotto uno striscione tu sei un omosessuale e io sono un prete e quindi, secondo alcuni, dovremmo stare in due piazze separate. Ma, in ogni caso, da lontano è difficile capirsi, bisogna urlare. E io invece voglio conoscerti e parlare con te.
Un tavolino di un bar mi sembra la giusta distanza. Davanti ad un caffè due uomini non conoscono come prima cosa i rispettivi principi inviolabili e valori non negoziabili. Come prima cosa scoprono se sono uomini da caffè con zucchero o caffè amaro. E ti assicuro che è un buon punto di partenza per conoscersi. Poi si parla un po’ dei piccioni che invadono Roma anche se ormai si stanno estinguendo a causa dei gabbiani. Poi si passa al lavoro e poi si passa a … non lo so a cosa si passa, ed è per questo che vorrei prendermi un caffè con te. Perché io vorrei conoscere te. Solo dopo, in un secondo momento, le tue idee. E allora avremo delle sorprese (anche tu le avrai). E sarà bello averle parlando di noi. E non leggendo i resoconti della piazza. A sentire il Papa quello che tu chiedi non è un matrimonio però, sempre ad ascoltare Francesco, dovrei imparare prima che sei una persona e, solo dopo, la tua tendenza sessuale. Perché “siamo tutti creature amate da Dio, destinatarie del suo infinito amore”. Ma, siamo in Italia, come si fa, senza un caffé?
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlSussidiario.net
http://www.tracce.it/default.asp?id=411&id_n=51976