Valeria Solesin, il fratello Dario: «Era una parte di me: vorrei che fosse solo un brutto sogno»

Da due giorni non riesce a smettere di piangere. Valeria, la sorella maggiore, una delle persone più importanti della sua vita non c’è più. È morta assassinata dai terroristi venerdì scorso mentre si trovava al teatro parigino Bataclan. Dario Solesin, studente universitario, calciatore, è un ragazzo distrutto dal dolore, un’angoscia, la sua, inconsolabile.

«È dura, durissima, non riesco a smettere di pensare a lei, a quello che le è successo e di piangere – racconta mentre passeggia per le strade di Cannaregio con un amico – Lei era una parte di me, un punto di riferimento, una sorella ma anche soprattutto un’amica. È tutto così assurdo, fa male, fa davvero male». Tra Dario e Valeria c’erano solo tre anni di differenza. Hanno frequentato lo stesso liceo, avuto anche la stessa insegnante che ieri ha ricordato la sua ex alunna sul Gazzettino.

«La professoressa Manao, sì, mia sorella era rimasta molto legata a lei e si sentivano ancora pure da Parigi» conferma Dario. Il 25enne si interrompe, singhiozza, si asciuga le lacrime. I suoi occhi sono gonfi, arrossati, sono quelli di chi non smette di piangere da un pezzo. «L’ho vista l’ultima volta due settimane fa quando sono andato a trovarla a Parigi per una festa. Era la solita Valeria, piena di voglia di fare, di idee, di energia. Non posso crederci che adesso non ci sia più».

Dario gioca a calcio nel Venezia 1907 di 3. categoria. Domenica la sua squadra ha giocato con il lutto al braccio, i tifosi han dedicato uno striscione alla scomparsa di Valeria e han provato a vincere per lei. «Sono stati grandi, ho apprezzato molto e li ho sentiti tutti molto vicini». Dario fatica a parlare, vorrebbe dire tante cose ma non riesce. «Valeria è stata qui a Venezia l’ultima volta a settembre – aggiunge – La sua vita ormai era a Parigi. Ma per me restava un punto di riferimento fisso. La sentivo e ci scrivevamo praticamente ogni giorno, più volte. Adesso non c’è più e io sono veramente disperato».
Ora l’attesa è per la partenza. Per andare a riprendersela a Parigi. «Stiamo aspettando che ci dicano qualcosa. Non sono pratiche che si risolvono in poche ore a quanto pare. I miei genitori sono forti, soffrono tantissimo, ma con grande compostezza. A casa è un via vai di gente e di telefonate. E io vorrei che tutto fosse solo un brutto sogno».

Redazione Papaboys (Fonte www.ilmattino.it)

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