Dio ha mandato il Figlio nel mondo, perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Nell’Antica Scrittura la fede e l’amore più grandi sono stati senza alcun dubbio quelli di Abramo. A lui il Signore ha chiesto il suo unigenito ed Abramo andò sul monte per fargliene un olocausto. Per questo lui è padre nella fede e modello perfetto di obbedienza, amore, speranza. Il Siracide e la Lettera agli Ebrei così parlano di lui.
Abramo fu grande padre di una moltitudine di nazioni, nessuno fu trovato simile a lui nella gloria. Egli custodì la legge dell’Altissimo, con lui entrò in alleanza. Stabilì l’alleanza nella propria carne e nella prova fu trovato degno di fede. Per questo Dio gli promise con giuramento di benedire le nazioni nella sua discendenza, di moltiplicarlo come la polvere della terra, di innalzare la sua discendenza come gli astri e di dar loro un’eredità da mare a mare e dal fiume fino all’estremità della terra (Sir 44,19-21).
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: Mediante Isacco avrai una tua discendenza. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo (Eb 11,810.17-19).
Abramo è però pallida immagine, figura quasi sbiadita di Dio. Il vero sacrificio del Figlio, il vero olocausto lo ha compiuto il Signore, non per se stesso, ma per noi. Vi è un capovolgimento nell’ordine delle cose. Che un uomo offra se stesso a Dio appartiene alla sua stessa verità. Lui è di Dio e a Dio deve donare tutto se stesso. Dio però non è dell’uomo. Questi è sua creatura. Cosa fa Dio per la sua creatura, per la salvezza di essa? Le offre il proprio Figlio, glielo dona dalla croce, ne fa un olocausto di amore, un sacramento di vita eterna. Non è l’uomo che in Abramo ama il suo Dio fino alla morte. È Dio che ama l’uomo sino alla morte. Non è la creatura che si offre al suo Creatore. È invece il suo Creatore che si offre alla sua creatura e in un modo così sofferto, appeso ad una croce. Mentre l’amore per Abramo è dovuto tutto al suo Dio. Dio non deve nulla all’uomo. Il suo amore è l’atto più grande della sua misericordia e della sua pietà. Così Lui stesso ci insegna non come amare Dio, bensì come amare l’uomo: non per un atto dovuto, ma per un amore gratuito che giunge all’annientamento di sé. Quando si giunge ad un amore così grande siamo nella vita eterna.
Cosa è il male, cosa sono le tenebre? È fare della propria vita un tesoro geloso per se stessi, rapinando e togliendo la vita agli altri, oppure ignorando la loro esistenza. Le forme e le modalità della rapina sono infinite. Esse vanno dalla microcriminalità al sommo della nefandezza e atrocità. Iniziano dall’abolizione dei comandamenti continuando anche attraverso la cancellazione della legge morale scritta nella coscienza. Nelle tenebre l’altro è solo foraggio per la mia concupiscenza. Quando invece si diviene parola del Dio vivente, parola vissuta sul modello di Cristo Gesù, la nostra vita diviene foraggio di amore, giustizia, verità, compassione, misericordia per gli altri. Noi diventiamo in Cristo il dono che il Padre fa al mondo per la sua vita eterna. Se non diventiamo questo foraggio di amore, nella fede più pura, il mondo mai potrà conoscere cosa è la vera salvezza. Non conoscendola, neanche la potrà vivere.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci sacramento di vita eterna.
Commento del Movimento Apostolico
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