Gv 10,27-30
Alle mie pecore io do la vita eterna
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Il pastore che parla al cuore, che conosce cosa lo abita
Le mie pecore ascoltano la mia voce. Prima grande sorpresa: una voce attraversa le distanze, un io si rivolge a un tu, il cielo non è vuoto. Perché le pecore ascoltano? Perché il pastore non si impone, si propone; perché quella voce parla al cuore, e risponde alle domande più profonde di ogni vita.
Io conosco le mie pecore. Per questo la voce tocca ed è ascoltata: perché conosce cosa abita il cuore. La samaritana al pozzo aveva detto: venite, c’è uno che mi ha detto tutto di me. Bellissima definizione del Signore: Colui che dice il tutto dell’uomo, che risponde ai perché ultimi dell’esistenza. Le mie pecore mi seguono. Seguono il pastore perché si fidano di lui, perché con lui è possibile vivere meglio, per tutti. Seguono lui, cioè vivono una vita come la sua, diventano in qualche modo pastori, e voce nei silenzi, e nelle vite degli altri datori di vita.
Il Vangelo mostra le tre caratteristiche del pastore: Io do loro la vita eterna / non andranno mai perdute / nessuno le rapirà dalla mia mano!
Io do la vita eterna, adesso, non alla fine del tempo. È salute dell’anima ascoltare, respirare queste parole: Io do loro la vita eterna! Senza condizioni, prima di qualsiasi risposta, senza paletti e confini. La vita di Dio è data, seminata in me come un seme potente, seme di fuoco nella mia terra nera. Come linfa’ che risale senza stancarsi, giorno e notte, e si dirama per tutti i tralci, dentro tutte le gemme. Le vicende di Galilea, la tragedia del Golgota, le parole di Cristo, che vengono come fiamma e come manna, non hanno altro scopo che questo: darci una vita piena di cose che meritano di non morire, di una qualità e consistenza capaci di attraversare l’eternità.
Il Vangelo prosegue con un raddoppio straordinario: Nessuno le strapperà dalla mia mano. Poi, come se avessimo ancora dei dubbi: nessuno le può strappare dalla mano del Padre. È il pastore della combattiva tenerezza.
Io sono un amato non strappabile dalle mani di Dio, legame non lacerabile. Come passeri abbiamo il nido nelle sue mani, come bambini ci aggrappiamo forte a quella mano che non ci lascerà cadere, come innamorati cerchiamo quella mano che scalda la solitudine, come crocefissi ripetiamo: nelle tue mani affido la mia vita.
Il Vangelo è una storia di mani, un amore di mani. Mani di pastore forte contro i lupi, mani tenere impigliate nel folto della mia vita, mani che proteggono il mio lucignolo fumigante, mani sugli occhi del cieco, mani che sollevano la donna adultera a terra, mani sui piedi dei discepoli, mani inchiodate e poi ancora offerte: Tommaso, metti il dito nel foro del chiodo! Mani piagate offerte come una carezza perché io ci riposi e riprenda il fiato del coraggio.
Commento a cura di Padre Ermes Ronchi