Dal Vangelo secondo Giovanni (Forma breve: Gv 9, 1.6-9.13-17.34-38)
Parola del Signore
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Oggi, “domenica Laetare”, la liturgia della Parola ci presenta il lungo racconto del cieco guarito. A Gerusalemme, dove si sta celebrando la festa delle tende (Sukkot), Gesù e i suoi discepoli passano accanto a un cieco. L’evangelista annota che i discepoli pongono a Gesù una domanda: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Questa domanda scaturisce da una citazione scritta nel libro dell’Esodo che dice: «Io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione» (cf Es 20, 5).
Ma Gesù rifiuta in modo categorico questa spiegazione e alla domanda risponde annunciando quanto sta per fare: vuole manifestare l’amore di Dio! Ebbene, Gesù respinge le spiegazioni abituali, non propone neppure altre giustificazioni, ma si impegna a contrastare, a distruggere il male, a rendersi solidale con chi soffre. Di fronte al cieco, notiamo due ottiche diverse: uno sguardo colpevolizzante dei discepoli, uno sguardo di compassione e di solidarietà da parte di Gesù.
Gesù, scrive Giovanni, passa poi all’opera: impasta con la sua saliva del fango, lo spalma sugli occhi del cieco con gesto terapeutico che ricorda il gesto di Dio quando aveva creato Adamo (cf Gen 2, 7) e poi chiede al cieco di recarsi alla piscina di Siloe – cioè alla piscina dell’«Inviato» – per lavarsi. Gesù, che proprio nel quarto vangelo è chiamato più volte l’Inviato da Dio, manda il cieco a lavarsi all’acqua dell’Inviato: così fa il cieco, e guarisce.
A questo punto, si legge nel racconto biblico, prosegue il diverso «vedere» dei testimoni del fatto. Gesù è uscito di scena, ma inizia il processo contro di lui, un processo in contumacia, potremmo dire, condotto attraverso il cieco guarito. Innanzitutto i vicini si chiedono se davvero il guarito vedente è la stessa persona che era cieca oppure solo uno che gli assomigliava. Poi sopraggiungono i farisei che si informano sulla modalità della guarigione operata da Gesù e la contestano: perché ha operato in giorno di sabato con un’unzione medica, proibita in quel giorno? Nel frattempo sopraggiungono i genitori del cieco nato, povera gente, che dicono e non dicono, timorosi come sono dell’autorità religiosa avversa a Gesù.
E così i farisei con il loro sapere teologico e la loro autorità religiosa, non pensano di incontrare Gesù per interrogarlo, ma emettono su di lui un giudizio: «Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Però, di fronte ai farisei che criticavano quanto Gesù aveva fatto, il cieco, con onestà aveva difeso quell’uomo che aveva compiuto il miracolo affermando: «voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta». Lui, povero cieco, non aveva pregiudizi verso quell’uomo che lo aveva guarito ma, i capi dei Giudei non la pensavano così. Risentiti a motivo delle parole del cieco guarito, prendono una decisione gravissima: «lo cacciarono fuori». Per un ebreo era una pena dura, era una specie di scomunica con conseguenze religiose e sociali. Si consuma così il processo in contumacia in cui coloro che si fanno giudici dell’opera di Dio concludono con disprezzo che tanto Gesù quanto il cieco nato e ora vedente sono dei peccatori.
Situazione paradossale: il povero cieco ora ci vede, ma vede solo incredulità, ostilità e cattiveria intorno a sé. Ora lui è guarito però è un emarginato, ma nello stesso tempo è un puro di cuore. Solo ora Gesù può proporgli l’atto di fede, cioè l’annuncio che Dio gli è vicino.
Giovanni annota che quando «Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; lo trovò e gli disse: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui». Ora il cieco vede veramente perché contempla e discerne nella fede chi è l’Inviato di Dio, chi l’ha salvato.
La conclusione dell’episodio evangelico ci mostra che quanti hanno creduto di giudicare sono in realtà stati giudicati da Gesù, che quelli che vedevano e credevano di vedere appaiono ciechi, che quanti indicavano gli altri come peccatori risultano preda di un peccato profondo: la cecità peccaminosa, la rivolta dei cuori induriti.
Chiediamoci anche noi: chi è cieco e chi vede? In verità, resta cieco chi indurisce il proprio cuore di fronte a Cristo. Vede colui che discerne la propria cecità e si apre all’azione sanante e illuminante del Signore Gesù.
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