In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola:
«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?
Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”.
Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».
Il Sacro Cuore di Gesù è la massima espressione umana dell’amore divino. La pietà popolare valorizza molto i simboli, e il Cuore di Gesù è il simbolo per eccellenza della misericordia di Dio. Ma non è un simbolo immaginario, è un simbolo reale, che rappresenta il centro, la fonte da cui è sgorgata la salvezza per l’umanità intera.
Il brano del profeta Ezechiele, attraverso l’immagine del pastore, propone la cura che Dio ha per il suo popolo. Tale sollecitudine si articola in tre atti che si susseguono. Il primo riguarda la raccolta e riunione delle pecore per renderle un solo gregge, in modo che nessuna fugga dalla sua attenzione o rimanga fuori per smarrirsi:
«Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna[…] e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse». Il secondo atto comporta guidare le pecore verso pascoli ubertosi, dove possono nutrirsi per vivere: «Le ricondurrò nella loro terra […] in ottime pasture […]; là si adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e le farò riposare».Il terzo atto consiste nell’interessarsi della singola persona: «Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata». Di ognuna persona si prende cura, non solo dell’individuo bisognoso, ma anche della pecora grassa: «avrò cura della grassa e della forte», ossia quella persona che sta bene, perché tutti noi siamo suoi figli e lui è un Padre che ci ama teneramente.
Se la sollecitudine di Dio è ben registrata nei testi anticotestamentari, la pienezza della bontà trova il suo riscontro nei passi neotestamentari. L’apostolo Paolo nella lettera ai Romani prospetta l’amore delle tre persone della Santissima Trinità, nelle dovute specificità. Anzitutto lo Spirito Santo ha il compito di effondere l’amore di Dio nel cuore del credente, affinché egli lo possa gustare nel profondo del suo essere: «… l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato». Un amore che rimane esterno a chi lo riceve non avrebbe senso né sarebbe efficace.
Immaginiamo due persone che dicono di amarsi; se il loro amore è esterno, di facciata, è ipocrisia e, dunque, prima o poi cesserà; però, se l’amore è vero, allora sarà efficace e durerà per sempre, per tutta la vita. Quindi possiamo dire che l’amore che Dio Padre ha per noi è vero, sincero, e lo ha manifestato donando il suo unigenito Figlio, Gesù Cristo, il quale si è fatto crocifiggere per la salvezza di noi peccatori: «… Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi
».Anche se Dio Padre non è salito sulla croce, ha partecipato attivamente al sacrificio di Gesù, il cui scopo ultimo era quello di produrre la riconciliazione degli uomini con il Padre suo e Padre nostro: «… siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, […] grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione».
Da qui nasce la devozione al Sacro Cuore quale accoglienza dell’amore di Gesù non solo nel suo ambito divino, ma nel suo sentimento umano; ciò significa che noi dobbiamo amare il Signore non solo perché siamo cristiani, ma soprattutto perché Cristo Signore, morendo in croce, ha dato la vita per tutti noi.
Ed infine il Vangelo. Innanzitutto dobbiamo dire che nei Vangeli troviamo diversi riferimenti al Cuore di Gesù, ad esempio nel passo in cui Cristo stesso dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (cf Mt 11, 28-29). Fondamentale poi è il racconto della morte di Cristo secondo Giovanni.
Questo evangelista, infatti, testimonia ciò che ha veduto sul Calvario, cioè che un soldato, quando Gesù era già morto, gli colpì il fianco con la lancia e da quella ferita uscirono sangue ed acqua: «Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua» (cf Gv 19, 33-34). Giovanni riconobbe in quel segno, apparentemente casuale, il compimento delle profezie: dal Cuore di Gesù, Agnello immolato sulla croce, scaturisce per tutti gli uomini il perdono e la vita.
«Ma la misericordia di Gesù non è solo un sentimento, è una forza che dà vita, che risuscita l’uomo! Il Signore ci guarda sempre con misericordia; non dimentichiamolo, ci guarda sempre con misericordia, ci attende con misericordia. Non abbiamo timore di avvicinarci a Lui! Ha un cuore misericordioso! Se gli mostriamo le nostre ferite interiori, i nostri peccati, Egli sempre ci perdona. È pura misericordia! Andiamo da Gesù!» (ct Papa Francesco, Angelus 9 giugno 2013).
Andiamo da Gesù! Nel Vangelo di Luca, infatti, non è Gesù che va alla ricerca dei peccatori, ma sono costoro che si avvicinano a lui e sono intenti ad ascoltarlo perché disponibili ad accettare la parola che egli offre. La gioia più grande, ci dice Luca, è quando il pastore trova la pecora: «Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle […]. Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».
Rivolgiamoci alla Vergine Maria: il suo cuore immacolato, cuore di madre, ci aiuti ad essere miti, umili e misericordiosi con i nostri fratelli.
A cura di Don Lucio D’Abbraccio
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