In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».
Nell’Antico Israele il digiuno non era un fatto individuale, ma comunitario. Quando ci si presentava al Signore, si ci accostava a Lui digiunando alla sua presenza in attesa della sua Parola, della sua decisione, del suo comando o disposizione.
Anche la Chiesa delle origini vive il digiuno come evento comunitario. Lo spirito è quello. Si vuole qualcosa dal Signore oppure si deve dare lo Spirito di Dio per la missione. Il digiuno è sempre vissuto in relazione al Signore, come predisposizione dell’anima, dello spirito, del corpo a mettersi in perfetta sintonia con la divina volontà.
C’erano nella Chiesa di Antiòchia profeti e maestri: Bàrnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaèn, compagno d’infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo. Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Bàrnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati». Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono (At 13,1-3).
Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto (At 14,23-26).
San Paolo parla di digiuni solo nella Seconda Lettera ai Corinzi, ma come privazione di cibo a causa delle condizioni storiche nelle quali è venuto a trovarsi. In tal senso dona pieno significato alle parole di Gesù: “Allora digiuneranno”. Gli Atti degli Apostoli parlano anche del lungo digiuno di tutti i passeggeri della nave durante la tempesta.
Nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni (2Cor 6, 5).
Fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità (2Cor 11, 27).
Finché non spuntò il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo: “Oggi è il quattordicesimo giorno che passate digiuni nell’attesa, senza prender nulla (At 27, 33).
Gesù rispettò la forma antica del digiuno. Digiunò quaranta giorni e quaranta notti prima di iniziare l’opera della salvezza che il Padre gli aveva affidato. Così visto il digiuno non è un rapporto con il proprio corpo. È invece preparare anima, spirito e corpo ad accogliere la volontà di Dio da compiere. È anche grande spirito di privazione e di sobrietà in assenza di nutrimento. San Paolo non dice ai Filippesi che lui è abituato alla fame e alla sazietà? Altra verità del digiuno vuole che chi possiede rinunci a qualcosa per aiutare chi non possiede. In tal senso con la virtù della sobrietà si vive di cose essenziali e il di più viene dato ai poveri. Digiuno, Dio, carità!
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vivere la verità delle cose.
Commento a cura del Movimento Apostolico
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