Avanti controcorrente portando Gesù a tutti. Vangelo in mano

Papa Francesco insiste dall’inizio del Suo Pontificato sull’uscire, sulle periferie, sull’incontro ed invita i sacerdoti, i seminaristi ed i Vescovi, ma anche ogni battezzato, a testimoniare l’amore di Cristo e la sua Parola di vita ripartendo dal primo  luogo in cui evangelizzare cioè la propria casa, l’ambiente di studio o di lavoro, la famiglia e gli amici.

Educhiamo i giovani alla missione – esorta – ad uscire, ad andare. Gesù ha fatto così con i discepoli: non li ha tenuti a sé.

Nella Celebrazione Eucaristica con i Vescovi della XXVIII GMG e con i Sacerdoti, i Religiosi ed i Seminaristi nella Cattedrale di San Sebastiano Rio de Janeiro, dove ha incontrato i giovani argentini, il Papa parla con parole chiare e limpide, non interpretabili, ma attuabili nella propria vita. E’ una ulteriore chiamata a mettersi in discussione, ed andare controcorrente contro la cultura dello scarto e dell’esclusione.

Francesco ricorda ai “suoi” che vivere in Cristo “segna tutto ciò che siamo e facciamo. E questa vita in Cristo – precisa il Pontefice –  è precisamente ciò che garantisce la nostra efficacia apostolica, la fecondità del nostro servizio”. Quel rimanere in Lui” contemplarLo, adorarLo e abbracciarLo, in particolare attraverso la nostra fedeltà alla vita di preghiera, nel nostro incontro quotidiano con Lui presente nell’Eucaristia e nelle persone più bisognose.” Non certo un isolarsi dal mondo, ma “rimanere per andare all’incontro con gli altri.” Quindi, pregare molto, attingere nmolto alla “fonte”, per portare agli altri quanto Gesù c’è in noi. Se non portiamo agli altri il Gesù che abbiamo – è una riflessione di chi scrive – che cosa portiamo? Noi stessi?

Ed evangelizzare si fa con il Vangelo in mano, come missionari, e non solo lasciando la casa e la famiglia, ma vedendo la terra di missione vicina, perchè  “il primo luogo in cui evangelizzare è la propria casa, l’ambiente di studio o di lavoro, la famiglia e gli amici.”

 

Silenzio totale e massima attenzione quando il Pontefice cita Madre Teresa di Calcutta: «È nelle favelas, nelle villas miserias, che si deve andare a cercare e servire Cristo. Dobbiamo andare a loro come il sacerdote che si reca all’altare con gioia». Francesco ha poi parlato dell’annuncio del Vangelo. Una chiamata che può spaventare, «pensando che essere missionari significhi lasciare necessariamente il Paese, la famiglia, gli amici». «Ricordo il mio sogno da giovane – flash back del Vescovo di Roma – andare missionario in Giappone. Dio, però, mi ha mostrato che la mia terra di missione era molto più vicina: la mia patria. Aiutiamo i giovani a rendersi conto che essere discepoli missionari è una conseguenza dell’essere battezzati, è parte essenziale dell’essere cristiani, e che il primo luogo da evangelizzare è la propria casa, l’ambiente di studio o di lavoro, la famiglia e gli amici». Bisogna perciò ascoltare i giovani, «abbiamo la pazienza di ascoltare, perdiamo tempo con loro». Educhiamoli «alla missione, ad uscire, ad andare. Gesù ha fatto così con i suoi discepoli: non li ha tenuti attaccati a sé come una chioccia con i suoi pulcini; li ha inviati! Non possiamo restare chiusi nella parrocchia, nelle nostre comunità, quando tante persone sono in attesa del Vangelo! Non è semplicemente aprire la porta per accogliere, ma è uscire dalla porta per cercare e incontrare! Con coraggio pensiamo alla pastorale partendo dalla periferie, partendo da coloro che sono più lontani, da coloro che di solito non frequentano la parrocchia. Anche loro sono invitati alla mensa del Signore».

Nell’ultima riflessione proposta nell’Omelia, Papa Francesco è tornato a parlare della cultura «dello scarto», che non fa più posto per l’anziano «né per il figlio non voluto» o per fermarsi «con quel povero al bordo della strada». «A volte sembra che per alcuni, i rapporti umani siano regolati per due dogmi: efficienza e pragmatismo». Ai vescovi, preti e seminaristi il Papa chiede di avere «il coraggio di andare controcorrente» e di essere «servitori della comunione e della cultura dell’incontro. Lasciatemi dire che dovremmo essere quasi ossessivi in questo senso».

Daniele Venturi

 

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