Commento al Vangelo di Marco 6,7-13: “Prese a mandarli…”
+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Parola del Signore
Accogliamo il Signore cercando di essere profeti coraggiosi
Nel Vangelo odierno abbiamo ascoltato che Gesù partì da Cafarnao «e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono». Qual è la patria di Gesù? La patria di Gesù è Nazaret, l’oscuro villaggio della Galilea dove egli era stato allevato ed era cresciuto «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (cf Lc 2,52). Ebbene, è qui, narra l’evangelista, che in giorno di sabato, il giorno santo dell’assemblea, Gesù si reca alla sinagoga e prende la parola per leggere e spiegare le Sante Scritture; a differenza di Luca (cf Lc 4,16-30), Marco non specifica quale sia il passo scritturistico letto da Gesù né si sofferma sulle sue parole di commento, ma mette in risalto la reazione suscitata dalla sua predicazione.
Da molti anni Gesù è assente dal suo villaggio e lontano dalla sua famiglia ma i suoi concittadini conoscono la fama dei suoi miracoli, dei suoi straordinari discorsi ma, nella sinagoga, anziché ascoltare quello che diceva e giudicarlo in base ad esso, la gente si mise a criticarlo dicendo: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?». I nazaretani lo conoscono come «il falegname, il figlio di Maria», e conoscono i suoi parenti più prossimi – definiti «fratelli e sorelle» – ancora residenti a Nazaret. Questi interrogativi che potrebbero preludere alla fede, all’adesione a Gesù almeno quale Maestro e Profeta, si risolvono in occasione di rigetto della sua persona tanto da suscitare in loro scandalo: «era per loro motivo di scandalo».
Siamo di fronte allo scandalo suscitato dalla povertà, dall’umanità, dalla semplicità di Gesù: egli infatti si presenta come un uomo, nient’altro che una persona di cui si possono conoscere le umili origini, la provenienza da una famiglia povera, il suo essere «figlio di Giuseppe, il falegname» (cf Mt 13,55; Lc 4,22), da cui ha appreso il mestiere. Agli occhi degli abitanti di Nazaret Gesù è un uomo ordinario, conosciuto fin dall’infanzia, e quindi non merita particolare ascolto né riconoscimento. Ebbene, proprio questa pretesa di conoscenza si trasforma in un inciampo – questo significa la parola «scandalo» – che impedisce il vero incontro, frutto della fede, e suscita al contrario «durezza di cuore» (cf Mc 3,5; 10,5; 16,14). Ciò significa che è facile accogliere la parola di Dio quando essa assume la forma del prodigio, quando si manifesta nella forza; mentre è ben più faticoso riconoscerla nella debolezza e nella fragilità di un uomo… Sì, Gesù è «la pietra di scandalo, la roccia che fa inciampare» (cf Is 8,14; Rm 9,32-33; 1Pt 2,8), ed è questa consapevolezza di sé che lo porterà ad affermare: «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (cf Mt 11,6).
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Gesù, dunque, di fronte al rifiuto dei suoi concittadini commentò amaramente dicendo: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». Questa frase è divenuta proverbiale nella forma abbreviata: «Nemo propheta in patria», nessuno è profeta nella sua patria. Ogni profeta, infatti, da quelli biblici fino a quelli che Dio ancora oggi invia al suo popolo, è ascoltato più facilmente da quelli di fuori che dai propri fratelli. Di fronte a tale incredulità Gesù non può fare a meno di stupirsi, meravigliarsi e, per tale motivo, non poté «compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì».
Da questo brano evangelico vengono spontanee alcune considerazioni.
I profeti, gli apostoli, sono quasi sempre dei rifiutati, dei perseguitati. Cristo è il rifiutato per eccellenza: non c’è posto per lui al momento della nascita, non c’è accoglienza nel suo paese…Dobbiamo convincerci che ciò non accade per caso, ma questa è la logica di Dio, la via da lui scelta: noi, se vogliamo seguire Gesù anche nell’annuncio del Vangelo, nella proclamazione della Parola, dobbiamo essere pronti e capaci, con l’aiuto dello Spirito, ad accettare fino in fondo la nostra debolezza, l’incomprensione, il rifiuto, la solitudine, certi che in tutto questo è il segreto della fecondità.
Però riflettiamo seriamente anche sulle nostre responsabilità davanti a Cristo: non si può rimanere passivi, indifferenti; o si aderisce a lui pienamente o lo si rifiuta. Siamo dunque disposti a seguire Gesù nella quotidianità e nell’ordinarietà della sua persona senza scandalizzarci di lui?
Non dimentichiamoci mai che Dio «propone» e non «impone»! Davanti al rifiuto dei suoi compaesani, Gesù non si abbandonò a minacce e invettive ma, semplicemente, se ne andò altrove.
Così fa anche oggi. Perché? Perché Dio ha molto più rispetto della nostra libertà di quanta ne abbiamo noi stessi gli uni di quella degli altri. Questo crea una grande responsabilità. Sant’Agostino diceva: «Ho paura di Gesù che passa» (Timeo Jesum transeuntem). Potrebbe infatti passare senza che io me ne accorga, passare senza che io sia pronto ad accoglierlo. Come successe ai nazaretani quel giorno.
Ebbene, accogliamo il Signore Gesù e cerchiamo di essere profeti coraggiosi e audaci, senza farci prendere dallo scoraggiamento se veniamo rifiutati. Confidiamo sempre nel Signore, nostra unica speranza. Amen!
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