Se è vero – ed è vero – che l’Italia per sopravvivere ha bisogno di migranti, significa che battaglie come queste vanno combattute e vanno vinte. È una battaglia che si chiama “integrazione” e significa che profughi e migranti che sceglieranno come loro patria l’Italia devono poterlo fare solo se decidono di diventare sul serio italiani. Chi di noi è impegnato nell’integrazione – e, ovviamente, non penso solo al mondo cattolico – è abituato ad ascoltare storie di soprusi e di violenze agghiaccianti e intuisce immediatamente la gravità del mondo che si cela dietro una diatriba apparentemente secondaria. Non sempre quello che ci viene raccontato – tutto quello che viene raccontato agli operatori sociali – è tutto vero; è sempre necessario operare i dovuti distinguo: ma, purtroppo, non è vero che sia tutto finto, tutto esagerato. Che siano sempre questioni da minimizzare.
Yassine Lafram, il coordinatore della comunità islamica bolognese, ha detto che nella decisione di umiliare la figlia in quel modo “non c’era nulla di religioso”. Vorrei credergli, e chi vuole credergli è libero di farlo: ma ci venga riconosciuto che il giochetto dei distinguo sta diventando sempre più difficile da reggere, gli equilibrismi richiesti cominciano ad essere davvero faticosi e pericolosi.
La famiglia che voleva imporre il velo a questa ragazza è colpevole come avesse commesso su di lei uno stupro. Per certi versi, forse, è stato anche peggio. Perché mentre i lividi delle botte si vedono, i lividi di una libertà calpestata e violata rischiano di rimanere invisibili e quindi peggiori perché non condivisibili, non raccontabili. Io so che se Dio non è padre ma padrone, l’uomo non è più figlio ma schiavo. E spesso gli aguzzini di questi schiavi sono proprio i parenti. Che diventano uomini ciechi, violenti, indegni di essere chiamati genitori.
Brava la scuola che coglie il disagio della ragazza, bravi i servizi sociali. Ma, a noi, ora, rimane da capire quale razza di non-cultura possa produrre violenze così gravi. Perché per essa, in Italia, non ci deve essere spazio.
Il velo, di per sé, nella storia, nella cultura, nella religione anche cristiana, aveva il senso della custodia, della protezione. Era qualcosa di bello e prezioso. Come può essere diventato una gabbia e uno strumento di tortura?
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlFaroDiRoma
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