Venti anni fa il terremoto che cambiò la vita di Umbria e Marche. Era il 26 settembre 1997, due scosse – una nel cuore della notte, alle 2 e 33 di magnitudo 5,6 e l’altra alle 11 e 40 di 5,8 – fecero piombare nel dramma le popolazioni a ridosso dell’Appennino a cavallo delle due regioni, con un bilancio nella sola Umbria di 33 mila edifici danneggiati, tra cui la Basilica di San Francesco ad Assisi, con il crollo di parte della volta che provocò quattro morti, e 22.604 persone evacuate. “La decisione di chiudere le scuole dopo il sisma della notte era stata un’ispirazione del Padreterno”, ricorda oggi Maurizio Salari, all’epoca sindaco di Foligno che, insieme all’attuale responsabile della Protezione civile umbra, Alfiero Moretti, ripercorre con l’ANSA quei giorni terribili.
“Alle 6 del mattino – ricorda Salari – venne da me un dirigente del Comune dicendomi che le scuole non avevano subito danni e tutti gli esperti sostenevano che il picco massimo della crisi sismica era stato raggiunto e quindi gli studenti potevano tranquillamente fare lezione, ma dentro di me c’era qualcosa che mi suggeriva di agire diversamente. Così decisi di chiudere tutti gli istituti: è stata la scelta migliore che abbia mai fatto in vita mia”. Ma l’allora sindaco di Foligno viene ricordato soprattutto per il pianto in diretta, davanti alle televisioni di mezzo mondo, per il crollo del torrino del palazzo municipale. “Era il 14 ottobre – racconta – una scossa di 5,5 fece venire giù uno dei simboli della nostra città e non trattenni le lacrime”. L’icona della distruzione del terremoto del 1997 resta comunque il crollo di parte delle volte della Basilica superiore di San Francesco, dove persero la vita due frati e due tecnici della Soprintendenza alle Belle arti. “Un fatto tragico che ci diede una lezione importante, quella di non entrare mai negli edifici storici durante una crisi sismica in atto”, dice il numero uno della protezione civile regionale, Moretti, all’epoca dirigente del Comune di Foligno. “Il sisma di 20 anni fa – aggiunge – era stato il primo vero banco di prova della Protezione civile nazionale e la risposta era stata molto buona, considerando che la crisi sismica durò quasi un anno, dal maggio del ’97 con la scossa di Massa Martana, al marzo del ’98 col terremoto di Gualdo Tadino”. Dopo il sisma del ’97 si è parlato molto di “modello Umbria” in termini di ricostruzione ed è il responsabile della Protezione civile a spiegarne il significato.
“Stabilì – spiega – tre principi: l’unitarietà dell’intervento nella completa interezza dell’edificio danneggiato, l’introduzione in normativa del miglioramento sismico dell’edificio e il recupero integrato dell’edilizia, pubblica e privata, che permise la riabilitazione dei centri storici e il miglioramento del patrimonio esistente. Tre principi che hanno permesso all’Umbria terremotata di rinascere e di resistere all’ultimo sisma, quello del 2016”. Ricostruzione che, 20 anni dopo, ha permesso di riportare nelle proprie case 22.337 persone, il 99% di quelle evacuate. In questi due decenni sono stati ultimati 11.260 interventi, con una spesa complessiva di oltre 5 milioni di euro.
Fonte ansa.it