Papa Francesco, alla fine dello scorso maggio, aveva avvertito. «A me non è piaciuto che tante persone, anche di Chiesa, preti, abbiano detto: “Ah, il Sinodo per dare la comunione ai divorziati…”, e sono andati proprio lì, a quel punto. Io ho sentito come se tutto si riducesse a una casistica. No, la cosa è più e più ampia». E aveva aggiunto: «Non vorrei che noi cadessimo in questa casistica: si potrà, non si potrà…?».
A leggere certi resoconti, in cui si è arrivati a parlare di Sinodo «pilotato» (!) o a presentare come una «battaglia campale» la discussione della Relatio post disceptationem del cardinale Péter Erdö, o altre amenità del genere, sembra che proprio questo stia avvenendo: si spinge sull’acceleratore della polemica per ribaltare, impacchettare, e (provare a) consegnare alle cronache – e, in definitiva, a umiliare – il Sinodo in corso per quello che non è.
Impossibile, nel notare quanto sta avvenendo su una parte della scena mediatica, non ricordare il discorso che papa Benedetto XVI, quasi all’indomani dell’annuncio della sua rinuncia, nell’ultimo incontro con i preti di Roma, il 14 febbraio del 2013, disse a proposito del Concilio: «C’era il Concilio dei Padri, il vero Concilio, ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo è stato quello dei media, non quello dei Padri. E mentre il Concilio dei Padri si realizzava all’interno della fede, ed era un Concilio della fede che cerca l’intellectus, che cerca di comprendersi e cerca di comprendere i segni di Dio in quel momento, che cerca di rispondere alla sfida di Dio in quel momento e di trovare nella Parola di Dio la parola per oggi e domani… il Concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all’interno della fede, ma all’interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica diversa». «Politica», specificava papa Benedetto.
È quello che, in misura non piccola, sta succedendo ancora oggi. Tale e quale. E che sulla frontiera del fraintendimento – chiamiamola così per comodità, anche se probabilmente c’è anche più di qualche voluta freccia avvelenata, in mezzo – vede schierati fianco a fianco “laici” che considerano quell’«apertura» un desiderio della Chiesa di «mettersi al passo coi tempo adeguando la dottrina», e credenti (quelle persone «anche di Chiesa, preti…» di cui diceva papa Bergoglio a maggio) che sparano a zero e con toni persino insultanti sul Papa che la dottrina, invece, vorrebbe «svenderla». Un fronte, quest’ultimo, invero piuttosto piccolo ma decisamente rumoroso, che sul tasto dei presunti «cedimenti» della Chiesa di Francesco, passando perfino dal sostenerne l’illegittimità dell’elezione, ha montato il castello della contrapposizione tra Ratzinger e Bergoglio, con quest’ultimo deciso a «smontare» il pontificato del suo predecessore.
Teoria, peraltro, davvero singolare, se non cervellotica. Perché chiunque, con un minimo di attenzione e di onestà intellettuale, si può rendere conto di quanto significativa, al contrario, sia su questioni fondamentali la continuità tra Benedetto e Francesco. Con il primo ad aver avviato una poderosa marcia di rinnovamento nella saldezza delle basi che il nuovo Papa sta conducendo, con stile proprio e inconfondibile e con felice determinazione, passo per passo. Una marcia di cui questo Sinodo sulla famiglia – nel complesso dei temi che affronta – si può dire abbia avuto proprio in Benedetto XVI un anticipatore, che sottolineò l’urgenza di riproporre anche l’argomento dei “divorziati risposati”, che era allo studio fin dall’inizio del suo pontificato, e che l’allora Papa toccò apertamente – chi scrive ne è stato testimone – nel colloquio coi sacerdoti della Valle d’Aosta (luglio 2005) e poi, ancora, in almeno altre due occasioni pubbliche.
Per cui sarebbe meglio, tornando al Sinodo, parlare del Sinodo.
E senza ripetere l’errore – la manipolazione – compiuto a suo tempo col Concilio Vaticano II. E, tranquilli tutti, come lo siamo noi e ogni altro ben informato: papa Francesco non vuole “cambiare la dottrina” – l’ha pure detto, col suo solito stile sorridente: «Mica posso cambiare il catechismo, no?» – vuole che emerga, che «esca fuori», la Chiesa che si fa carico «della fede che cerca l’”intellectus”», la Chiesa «madre e maestra» consegnataci dal Concilio. Capace di testimoniare il vero, ma anche pronta chinarsi con amore su tutte le sofferenze. E nella quale la dottrina è una bussola, non una ragione per escludere.
Di Salvatore Mazza per Avvenire
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