Pietà l’è morta o comunque non si sente un granché bene in quel di Verona dove il sindaco leghista ha firmato un’ordinanza che vieta alle associazioni caritatevoli di fornire pasti ai senzatetto in una certa parte del centro cittadino. Tra lo stupore di una città che, fino al giorno prima, non s’era resa conto della gravità del problema. Quale problema? Il
“disordine”, la mancanza di decoro, la brutta immagine che si dà a cittadini e turisti, il senso di “insicurezza” che danno queste poche decine di anime perse. Il tutto in linea con un’amministrazione cittadina che ha negli anni messo degli anelli di ferro alle panchine pubbliche per impedirvi di sdraiarsi sopra; che ha fatto terra bruciata attorno ai rom; che lotta (anche giustamente) contro certo accattonaggio; che non ama particolarmente l’immigrazione straniera e soprattutto i problemi che a volte comporta. Vivendo a Verona, conosciamo personalmente il sindaco Flavio Tosi e l’assessore ai servizi sociali che ha avvallato la decisione per giudicarli certo non dei
“nazistoidi” intolleranti come qualcuno li dipinge, ma l’espressione di una città che ha sì una componente solidale gigantesca (qui la solidarietà è grande è grossa, dal mondo cattolico in giù), ma anche una maggioranza di “autoctoni” per cui l’ordine e il decoro – nonché la sicurezza – vengono prima di tutto. Prima ancora delle persone. E infatti l’amministrazione comunale è stata largamente votata nel 2007, e ancor più largamente confermata nel 2012.
Una città che probabilmente è specchio di una società. Sono in tanti quelli del “non nel mio giardino”, che s’infuriano e si mobilitano soprattutto o solo quando trovano troppe deiezioni canine nel parco o, peggio ancora, quando le stesse sono impedite al proprio cane. Un po’ è una caratteristica locale, il residuo di Austria felix di stampo asburgico che fa di Verona una splendida città ben curata, con il record nazionale di raccolta differenziata dei rifiuti. Solo che – forse – abbiamo perso un po’ di cuore, troppo benessere e troppi gerani fioriti sui balconi hanno fatto dimenticare quando anche qui non c’erano gerani né benessere, ma fame e mosche. Ma questa spiegazione non dà conto del fatto che siano proprio i ceti più umili, le fasce meno abbienti quelle che sostengono maggiormente questa amministrazione comunale. La crisi economica, le paure di perdere quel filo di benessere conquistato, la solitudine di tanti, la perdita del senso comunitario, l’invecchiamento quasi brutale della popolazione, e nuove generazioni che si forgiano più con gli slogan dello stadio che con i messaggi e gli esempi di carità e solidarietà. Stiamo perdendo briciole del nostro cuore, pezzettini della nostra umanità. La cosa più brutta è la frattura tra due società, una che s’impegna verso tutto e tutti (ripetiamo: la solidarietà a Verona è passato e presente, qualità e quantità da record nazionale) e non si capacita di queste porte chiuse, di questo voltarsi dall’altra parte, di questa mal sopportazione serenamente esibita. E un’altra che non capisce proprio lo stupore e l’indignazione dei primi, che pensa che certi gesti, certe scelte siano ordinaria amministrazione e null’altro. Spostiamo i disadattati da un’altra parte, qui fanno disordine e paura: che male c’è? Le due risposte radicalmente opposte danno il senso della frattura e la sostanziale impossibilità di dialogare.
di Nicola Salvagnin