Ma fingere che la realtà sia diversa, pensare che i fidanzati dell’anno 2015 siano ancora quelli di trenta o quarant’anni fa, significherebbe condannare all’insignificanza le proposte delle nostre comunità. Tantissimi i mutamenti. Intanto sono cambiati i numeri.
Anzi, più che un cambiamento, una rivoluzione. A metà degli anni Sessanta si celebravano in Italia circa 420mila matrimoni l’anno (quasi al 100 per cento con rito religioso). Nel 2013 i matrimoni sono scesi a 194mila e quelli con rito religioso sono stati poco più della metà (57%). Ma al Centro e al Nord il sorpasso è già avvenuto. Sempre nel 2013 i matrimoni civili sono stati rispettivamente il 55% e il 51% del totale. E nei grandi centri urbani il divario si è fatto ancora più rilevante. Se sui numeri non si discute, su tutto il resto è doveroso non solo riflettere, ma inventare proposte che sappiano tradursi in buone prassi capaci di coniugare verità e accoglienza.
Se ne parlerà, tra tanti altri temi urgenti, al prossimo Sinodo ordinario, tenendo presente però che – al di là di quanto emerso all’Assemblea straordinaria dei vescovi dello scorso ottobre, condensato poi neiLineamenta – da papa Francesco è già arrivata un’indicazione esplicita. Il 25 maggio dello scorso anno, nell’omelia di Santa Marta, ricordando il rimprovero rivolto da Gesù ai discepoli che volevano allontanare da lui i bambini, ha preso come esempio proprio due fidanzati che vogliono sposarsi e si presentano in parrocchia. Ma invece di essere circondati da calore umano, in un
clima di simpatia e di vicinanza, si vedono presentare la lista dei documenti e i costi della cerimonia. Insomma, ha ricordato il Papa, i due ragazzi «trovano la porta chiusa».
In questo modo chi avrebbe la possibilità «di aprire la porta ringraziando Dio per questo nuovo matrimonio», non lo fa. Un atteggiamento che trova la più ferma condanna di Francesco. «E così quando noi siamo su questa strada, in questo atteggiamento, noi non facciamo bene alla gente, al popolo di Dio. Ma Gesù ha istituito sette sacramenti e noi con questo atteggiamento ne istituiamo l’ottavo, il sacramento della dogana pastorale».
Dal canto suo la Chiesa italiana ha deciso di eliminare ‘dogane’ e ‘barriere’ già tre anni fa, con un documento innovativo, gli ‘Orientamenti sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia’, una scelta che ha mandato definitivamente in soffitta i vecchi ‘corsi frontali’ per inaugurare, come spiega don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la famiglia, «una riconversione pastorale delle nostre comunità », che in qualche modo ha anticipato quell’atteggiamento di accoglienza per la vita concreta delle persone, fragilità comprese, che poi il Sinodo ha definitivamente sancito. Un testo che ha permesso di rimettere l’educazione all’amore e alla sessualità al centro dell’attività pastorale ordinaria, trasformandolo in un volano per costruire il bene comune e la società di domani.
Da quel documento sono nati nuovi percorsi diocesani, con l’obiettivo di coniugare alla luce delle nuove situazioni socio-culturali, dato di realtà e antropologia cristiana.
Articolo di Luciano Mola per Avvenire www.avvenire.it
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