R. – Prima di tutto vorrei dire che siamo vicini a chi soffre, vicini alle famiglie di coloro che sono morti e a chi è rimasto ferito. Poi vorrei dire che questa non è l’espressione del popolo tunisino che non capisce in queste ore come sia possibile che siano state uccise e ferite delle persone. Il popolo tunisino è un popolo accogliente e buono.
D. – Il Paese sembrava vivere una nuova stagione dopo la “primavera araba”. Questo episodio mette a rischio questo percorso di democrazia?
R. – Il pericolo c’è sempre, perché ci sono molte cellule dell’Is anche qui, anche se non si sa dove siano; però non dobbiamo dimenticare che il popolo tunisino è un popolo di cultura che ama la pace e questo ci dà tanta speranza. La prima reazione è stata quella di manifestare il sostegno al governo e il rifiuto di ciò che è accaduto. La speranza, sempre grande, è che – prendendo spunto dal passato e da come si sono comportati i tunisini – questa sia una “nuvola molto triste” che è passata e speriamo non ritorni più.
D. – Voi avete paura?
R. – Come Chiesa no, perché fino ad ora noi non abbiamo avuto nessun segno che sia un movimento contro la Chiesa o contro i cristiani. Abbiamo la paura che hanno tutti, quella di trovarci coinvolti perché al posto sbagliato, nel momento sbagliato, ma niente di più.
D. – La prima risposta è stata quella di dire: “La guerra al terrore verrà combattuta senza pietà”, altri hanno sottolineato: “La via da perseguire è quella del dialogo, del confronto. Non bisogna perdere il controllo dei nervi in questo momento”. Cosa ne pensa?
R. – La posizione da seguire è quella del Papa, quando dice che bisogna fermarli, però lasciare le porte aperte al dialogo. Qui è la stessa cosa: non possiamo permettere che facciano quello che vogliono, che terrorizzino la gente. Però credo sia necessario aiutare nella crescita. Per molti anni, al tempo delle dittature, soprattutto quella di Ben Ali, chi andava nelle moschee non era visto di buon occhio. Risultato: oggi c’è un vuoto di valori nei giovani, un vuoto di cultura perché non conoscono bene la storia del loro passato, che è gloriosa e bella, un vuoto religioso. Quando mancano i valori in una persona, il primo che arriva riempie la testa e si corre il rischio di seguire qualcosa di pericoloso e poi si arriva a situazioni che sono inspiegabili. Come adesso in cui ci si pone la domanda di come sia possibile che il popolo tunisino, che è credente, pieno di cultura sia invece quello che ha offerto più combattenti all’Is.
D. – Qual è il vostro impegno come Chiesa sul territorio?
R. – Il nostro impegno è quello di sempre: mostrare attraverso la testimonianza di Cristo i valori umani e sociali che non possono mancare in qualsiasi persona – che sia cristiana o non cristiana – attraverso le nostre scuole, i nostri incontri e le relazioni.
D. – In questo momento ancora di più …
R. – In questo momento di sofferenza la Chiesa deve prendere una posizione molto più forte e la convinzione che abbiamo da fare un lavoro in profondità più grande, iniziando dai nostri cristiani che hanno un contatto diretto con il popolo tunisino.
D. – Vuole lanciare un appello attraverso i microfoni della Radio Vaticana?
R. – Prima di tutto non fare di tutta un’erba un fascio: la Tunisia è un popolo islamico – è vero – un popolo musulmano, però non sono tutti terroristi. La Tunisia soffre moltissimo per questa situazione e farà di tutto per uscire. Le speranze che noi abbiamo, anche con un po’ di tremore, sono di pace e di un futuro che può essere ancora tranquillo per la Tunisia.
Fonte. Radio Vaticana
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