Quella di Giuseppe Ramognino, per tutti Beppe, sembra riportare ai giorni d’oggi la parabola del buon samaritano purtroppo però, con un epilogo diverso.
Riportiamo l’inchiesta che nella serata di ieri, le Iene hanno mandato in onda su Italia1.
In questo primo Lunedi di Avvento ci sembra doveroso regalarvi una storia di ordinaria indifferenza che troppo spesso si annovera nella nostra quotidianità passando in maniera del tutto indifferente.
Giuseppe Ramognino, a detta dei nipoti Laura e Massimo, “Un uomo semplice, forse un po’ schivo, che dopo la morte del fratello si è chiuso in sé stesso fino ad isolarsi”, era un contadino di una cittadina vicino a Torino che muore da solo, ma in mezzo alla gente, nel pronto soccorso di Moncalieri (TO), dopo essere stato 23 ore in attesa.
Come riporta il servizio delle Iene, tutto ha inizio la mattina del 1 maggio 2019 alle 10.02, quando trovato a terra in un centro commerciale, viene trasportato d’urgenza al pronto soccorso.
Quando arriva in ospedale forse è solo un po’ confuso, infatti alle 10.43 viene visitato e nel referto i medici scrivono: ‘Vigile, mutacico, poco collaborante’.
In seguito a quella visita, passeranno 3 ore di attesa per altri accertamenti e alle 13.33 l’infermiera che ha seguito la sua accettazione indica a Beppe la via d’uscita.
Lo si vede dai filmati registrati dalle telecamere nella sala d’attesa del pronto soccorso.
Pochi minuti dopo cosi, viene emesso il referto d’uscita con la motivazione di “disadattamento sociale”, ma Beppe probabilmente non sapeva di essere stato dimesso, i documenti non riportano la sua firma ed infatti, le telecamere del pronto soccorso, lo inquadrano mentre rientra in sala una manciata di minuti dopo esserne uscito.
Possiamo presumere che aspettasse il suo turno per le prossime visite.
Inizia una lunga attesa interrotta ogni 20 minuti per andare in bagno. Si vede che non sta bene tanto che alle 18 rimette in sala d’attesa.
Sarà un clochard che nella notte ha dormito nella stessa sala del pronto soccorso dove era Beppe già da ore, che dichiara di averlo visto rimettere un liquido di colore verde.
Nessuno gli chiede se ha bisogno d’aiuto. Passano le ore e il pronto soccorso si riempie di senzatetto che si stanziano per passare la notte, ma Beppe si confonde tra loro.
Sta male, si alza e va verso un’infermiera e si parlano: “Mi ha chiesto dove fosse l’uscita e non era visibile che stesse male”, sostiene la donna.
Arrivano le 4 di mattina, quando il signor Ramognino si reca nuovamente in bagno. Ci passerà 2 ore, fino a che un senzatetto si accorge di lui. Alle 6 del mattino cosi un clochard si avvicina allo sportello dell’accettazione e indica il bagno. “Che cosa mi abbia detto non me lo ricordo”, sostiene l’infermiera.
Le parole che avrebbe pronunciato il primo clochard sono scritte nei verbali: “Ha detto che c’era un signore in bagno che non apriva e non rispondeva
”, sostiene un testimone. Passerà ancora un’ora e solo dopo la segnalazione di un altro senzatetto, interviene l’infermiera.Sembra aprirsi uno spiraglio di salvezza per il povero malcapitato, ma i tre operatori sanitari che entrano in bagno per prendere Beppe, dopo averlo adagiato su una sedia a rotelle, lo lasciano in un angolo della sala d’attesa.
Sfinito dalla malattia e dalla stanchezza si vede che il malato comincia a scivolare sulla sedia. Pian piano si accascia fino alle 8.19 dove si è mosso per l’ultima volta.
Le telecamere lo riprendono mentre abbassa la tesa e muore.
“È disumano” dice il nipote.
Beppe diventa un’emergenza solo dopo quasi un’ora che è morto.
Alle 9 infatti una signora segnala la sua presenza e finalmente i medici si avvicinano a lui per portarlo dentro quel pronto soccorso dove sarebbe dovuto entrare già molte ore prima.
Su questa morte la magistratura ha aperto un fascicolo per omicidio colposo. Secondo la Procura però nessuno può essere ritenuto responsabile.
“La circostanza che il personale sanitario sia stato avvisato della presenza di una persona in difficoltà è puramente ipotetica e frutto di una illazione ricavata dalle immagini che non consentono di accertare cosa è stato effettivamente detto al personale sanitario”, scrive il pm.
Questo perché le immagini della videosorveglianza sono senza audio.
“Il fatto grave è che se lo sono dimenticato. Lo avessero preso e messo su una barella, noi non saremmo qui. Nel momento in cui lo parcheggiano è un’omissione di soccorso” sostiene l’avvocato della famiglia di Beppe.
Come se questa storia non bastasse, pochi giorni dopo la sua morte, qualcuno è entrato nell’umile cascina del defunto, rubando quelle poche cose che gli appartenevano.
Alla fine della sua storia possiamo provare a comprendere anche quel carattere chiuso che Beppe ha coltivato con il tempo, fino a sfociare in una personalità schiva “mutacica e poco collaborante” come scriveranno i medici nel referto.
Forse le persone, quelle sbagliate, Beppe le aveva conosciute già molti anni fa e lascia a noi una grande responsabilità: farci diventare persone diverse da quelle che hanno interagito con la sua storia sia prima che perfino dopo la sua morte.
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