Categorie: Musicae et Ars

Vi svelo i segreti del Canto Gregoriano

Incontro con il musicista e musicologo Giovanni Conti in occasione del Congresso internazionale che si tiene a Lugano dall’8 al 12 settembre.

Liturgia e Musica: un vincolo inscindibile. Un vincolo che subito porta all’idea del genere musicale dal nome più poetico che esista: il Canto Gregoriano. Due parole che evocano la pace, la meditazione e l’ascolto. Ma il Canto Gregoriano è soprattutto una linfa che percorre secoli di storia della Musica e della Liturgia. Ed è più che mai vivo ed attuale.

Lo dimostrano i partecipanti al 10° Congresso Internazionale “La Parola si fa suono” che si tiene a Lugano dall’8 al 12 settembre: provengono infatti da ogni parte del mondo. Giovanni Conti – musicologo e musicista, docente a Parma e Cremona, autore e responsabile di programmi per la radio e per la tv – è il Coordinatore scientifico del Congresso ed è vicepresidente della Società Internazionale di Studi sul Canto Gregoriano.

Per questo sa svelare le due anime del Gregoriano: quella musicale-filologica e quella religiosa. La prima, che è la ragion d’essere della Società, fa riferimento alla figura ed all’opera di un parroco svizzero attivissimo a Milano che ha dato nuova vita al Gregoriano e che il Convegno ricorda a 10 anni dalla scomparsa: “Luigi Augustoni è stato uno dei protagonisti insieme al francese Eugène Cardine del processo di decodificazione dei segni dei manoscritti originali del Gregoriano”, ci spiega. “Già nel 1800 si era compresa l’importanza di ritornare alle fonti medievali del Canto, ma non si conosceva il significato dei segni, se ne era persa la memoria: Augustoni capì il significato dei segni e ne comprese le indicazioni interpretative. Erano molto diversi dalla scrittura attuale della musica con la quale vengono solo indicate l’altezza e la durata del suono”.

C’è una relazione con la pratica religiosa? O ciò è nato solo da un’esigenza scientifica e filologica?
“La Chiesa riconosce il canto gregoriano come il canto ufficiale della liturgia. Tanto che ne ha sempre stimolato lo studio: non per nulla esiste il Pontificio Istituto per la Musica Sacra. La ricerca però si preoccupa di recuperare il Gregoriano allo stato più antico, con un’operazione soprattutto musicologica e filologica. La pratica liturgica se ne potrà giovare, anche perché i libri della liturgia non sono aggiornati da questo punto di vista”.

Questo cosa significa per i fedeli?
“Significa che quando si sente cantare il gregoriano nelle chiese lo si sente con una prassi non fedele. Con melodie diverse dalle originali, con delle interpretazioni libere. Ci sono dunque delle realtà che fanno il Gregoriano alla loro maniera, come il Coro della Cappella Sistina. Il lavoro di Augustoni è andato nell’altra direzione ed ha cambiato il volto dell’interpretazione”.

L’interesse per questo recupero è mondiale…
“E’ vero, dopo 40 anni di esistenza ormai la nostra associazione è diffusa in tutto il mondo. Abbiamo soci ovunque, in Giappone, Sudamerica, negli Stati Uniti, in Germania, Paesi Bassi, Polonia, Spagna: e dove non ci sono gruppi molto numerosi, come per esempio in Svezia, i soci si appoggiano ad altre delegazioni come quella tedesca”.

Il Gregoriano è inscindibilmente legato alla liturgia. Però spesso si organizzano concerti di Gregoriano o si pubblicano cd. Come mai?
“Il concerto di Gregoriano è nato nel momento in cui non è stato possibile legare il Canto alla Liturgia. In realtà il concerto così come l’elevazione spirituale hanno una funzione ed un vantaggio: permettono di spaziare su un repertorio vasto ed accostare brani diversi. Cosa che non è possibile durante una celebrazione”.

E’ un tema molto dibattuto, grazie anche alle molte novità scritte oggi da compositori famosi ed agli interventi di papi come Benedetto XVI ed, ai tempi, Paolo VI: come dobbiamo intendere la musica liturgica? Ci sono regole, modelli?
“I modelli sono quelli classici, e non bisogna certo copiare o imitare: occorre riferirsi alla tradizione gregoriana, o alla polifonia rinascimentale. Questo è un marchio che fa della musica cattolica, “la musica cattolica”. Insomma non basta che la musica sia piacevole, o da film. Questi generi sono altro dalla musica liturgica, indipendentemente dal valore dei compositori che può essere elevato”.

La presenza italiana al Congresso sarà nutrita?
“In Italia abbiamo diverse realtà corali di livello professionale. In 36 anni abbiamo formato direttori di cori, coristi, cantori che hanno abbracciato questa teoria interpretativa. Ma quello che mi preme dire è che noi non facciamo dell’archeologia musicale. Non siamo dei nostalgici. Nella nostra Associazione ci sono credenti, ma anche non credenti. Ma tutti noi siamo consapevoli e non esuliamo né dalla liturgia né dai testi musicati: la Parola alla quale si fa riferimento è la Parola biblica. Ed è una Parola che diviene suono perché oggetto di meditazione e di profonda riflessione da parte di anonimi musicisti che su quegli spezzoni di frase hanno costruito infinite melodie. Ed ognuno ha vissuto e percepito in modo diverso la Parola, costruendo brani uno diverso dall’altro”.


Redazione Papaboys (Fonte www.famigliacristiana.it/Giorgio Vitali)

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