«La mia posizione sui vitalizi agli ex parlamentari è chiara e nota da tempo: ritengo personalmente inaccettabile che si continui ad erogarli a chi si è macchiato di reati gravi come mafia e corruzione». È ormai sera quando la presidente della Camera, Laura Boldrini, ribadisce in una nota la linea adottata d’intesa col presidente del Senato Pietro Grasso, dicendosi certa che l’Ufficio di presidenza di Montecitorio e il Consiglio di presidenza di Palazzo Madama «arriveranno quanto prima a deliberare su una materia così delicata, sulla quale c’è anche molta attesa da parte dell’opinione pubblica». Secondo il presidente del Senato Grasso, i vitalizi e le pensioni percepiti da chi è stato parlamentare sono legati alla carica rivestita e, pertanto, coloro che sono incandidabili ai sensi della legge Severino dovrebbero perdere anche il diritto agli assegni (ciascun vitalizio ammonta a diverse migliaia di euro mensili).
La questione, in teoria, potrebbe riguardare diverse decine di ex parlamentari, condannati in via definitiva per reati compresi nella legge Severino: dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi (condannato per frode fiscale, circa 8mila euro mensili) al senatore Marcello Dell’Utri (concorso esterno in associazione mafiosa, circa 5mila euro), ma anche politici della prima Repubblica comeClaudio Martelli, Gianni De Michelis o Paolo Cirino Pomicino.
Secondo Grasso, per procedere non serve una legge ordinaria: «Non vi è dubbio che la legge sia incompetente a disciplinare la materia, che è ricompresa nell’autonomia normativa (autodichia) delle Camere », argomenta in un ampio documento destinato ai questori di Camera e Senato, che ieri hanno tenuto una lunga riunione congiunta. L’autonomia normativa, rammenta Grasso, si fonda «sul combinato disposto degli artt. 64 e 66 della Costituzione» in base ai quali «ciascuna Camera adotta il proprio regolamento» e «giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause successive d’ineleggibilità e incompatibilità».
Le sue osservazioni contestano il parere del professor Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, visionato nei giorni scorsi dagli uffici di Montecitorio e Palazzo Madama e nel quale si sostiene che togliere la pensione a un condannato equivale a infiggergli una sorta di pena accessoria, che invece potrebbe essere stabilita solo per legge. Secondo Mirabelli, è anche dubbio che si possa toccare in modo retroattivo un trattamento previdenziale acquisito. Di parere opposto, il presidente del Senato, che argomenta: «È paradossale ipotizzare » che successive modifiche «debbano trovare origine in una fonte normativa diversa dalla fonte che ha costituito l’istituto. Vale un principio generale del diritto, oltre che di palese ragionevolezza, secondo cui l’organo che produce una norma è l’unico che possa modificarla». Se così non fosse, conclude Grasso, «allora questo farebbe cadere l’intera potestà normativa sulle garanzie per i parlamentari, e riconoscerebbe che la legge potrebbe modificare anche le norme vigenti sul trattamento economico e giuridico dei parlamentari».
Sulla stessa linea il questore della Camera Stefano Dambruoso (Sc), per il quale il taglio dei vitalizi può benissimo essere deciso anche con una semplice delibera dei due Uffici di presidenza. Il leader di Scelta Civica, Enrico Zanetti, ricorda inoltre come il suo gruppo avesse presentato un emendamento al ddl Boschi sulla riforma costituzionale, per «dare un cappello di protezione dai soliti ricorsi», ma che era poi stato respinto in Aula: «La misura di quanto altri partiti prendano in giro i cittadini sulla questione dei vitalizi è data proprio dalla clamorosa bocciatura di questi nostri emendamenti». Un riferimento indiretto al silenzio sul tema, registrato anche ieri, di forze politiche di peso in Parlamento, come il Pd o Forza Italia.
A caldeggiare la via legislativa è ovviamente il M5S, che della questione ha fatto un cavallo di battaglia: «Abbiamo presentato una proposta di legge – conclude il deputato grillino Riccardo Nuti – è l’occasione per gli altri partiti di passare dalle parole ai fatti: basta un semplice voto favorevole».
Di Vincenzo R. Spagnolo per Avvenire