Il Calvario nei Vangeli-. La collina era usata come luogo di esecuzione della pena della crocifissione, molto in uso presso i Romani. Si suppone che il suo nome derivi da questo, oppure dalla sua forma tondeggiante come la calotta di un cranio. Si nomina il Golgota nel Vangelo secondo Matteo: “giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio” (Matteo 27,33); nel Vangelo secondo Marco: “condussero dunque Gesù al luogo del Gòlgota, che significa luogo del cranio” (Marco 15,22); nel Vangelo secondo Luca: “quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra” (Luca 23,33); e nel Vangelo secondo Giovanni: “Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota” (Giovanni 19,17). Tutti e quattro i Vangeli descrivono lo svolgimento della passione per crocifissione di Gesù (Mc 15,20). La morte di Gesù è accompagnata da tutta una serie di eventi sconvolgenti (Mt 27,51-53). Se la lacerazione del velo del tempio era già ricordata da Marco, non così per gli altri segni: la terra scossa, le rocce spezzate, i sepolcri aperti, la risurrezione di molti morti, la loro uscita dalle tombe e la loro apparizione a molti in Gerusalemme. Anzitutto va rilevato che i verbi usati per descrivere questi eventi sono al passivo: si tratta di una forma linguistica particolare per indicare che il vero soggetto di quanto avviene è Dio. Nella morte di Gesù avviene qualcosa di divino, dice Matteo. La morte di Gesù è l’ora finale della storia, è l’evento escatologico per eccellenza. In effetti Matteo riesce a radunare con mirabile sintesi, nel momento della morte di Gesù, sia la menzione della sua risurrezione sia della risurrezione dei giusti. Nel momento della morte ecco i segni della vittoria della vita. Gli eventi elencati da Matteo non vanno intesi in senso storico, ma come segni del significato profondo dell’evento: la morte di Gesù è il crinale della storia umana; essa investe tutto il mondo e apre gli ultimi tempi, i temi escatologici.
Il Christus Patiens comincia a diffondersi a partire dal X secolo. Gesù è rappresentato morente o morto, in un’espressione contratta dal dolore. Ha in testa la corona di spine, il volto agonizzante e rigato di sangue. Le gambe sono piegate, i piedi sovrapposti trafitti da un solo chiodo, il diaframma è irrigidito per l’intensa sofferenza. Uno dei primi esempi di questa tipologia iconografica è il Crocifisso di Gero, conservato nel duomo a Colonia. Con tale raffigurazione si vuole mettere in evidenza soprattutto la dimensione umana di Cristo che ha sofferto e affrontato la morte non facendo emergere la sua divinità. Ai lati del Crocifisso possono comparire la Vergine Maria, Maria Maddalena, l’apostolo Giovanni, i Santi, i soldati romani, gli scribi, i sacerdoti, i membri del Sinedrio, ecc… Dopo la trasposizione in termini umani operata con la preferenza del Christus Patiens, con i maestri della pittura del Quattrocento e del Cinquecento la rappresentazione della Crocifissione allarga il racconto. Si intensifica il senso umano del dramma vissuto da Gesù mediante una partecipazione corale. Intorno alla Croce compaiono scene piene di personaggi, appartenenti a tutte le classi sociali, a sottolineare la dimensione universale dell’evento salvifico di Cristo. Le opere più significative della rappresentazione corale della Crocifissione sono state prodotte da Mantegna, Bellini, Tintoretto e dai maggiori protagonisti della tradizione fiamminga. Alcuni autori accentuano con crudo realismo la sofferenza di Cristo dando un profondo senso drammatico alle loro raffigurazioni, come Caravaggio. Il tema trova nuove soluzioni stilistiche nel XX secolo ad opera soprattutto degli espressionisti accanto ai quali va considerata la produzione altamente suggestiva del pittore francese Rouault. a cura di Ornella Felici
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