Categorie: Finis Mundi

“Vieni” e “Vai”: è questa la grammatica della fede

La sensibilità odierna, quella epidermica, ricca di gossip (magari anche religiosi), si scontra con la sensibilità evangelica quando si entra nel tema delle “missioni”. Sono passati i tempi in cui il bianco europeo si avvertiva (a torto molto spesso) portatore di cultura e di civiltà mentre, in realtà, si trattava di occupazione coloniale, di imperi che si ingrandivano, di poteri che si sentivano onnipotenti e onnipresenti e si arricchivano depauperando gli autoctoni.
Il messaggio di Francesco donatoci il giorno di Pentecoste sfonda questa mentalità, non affrontandola con violenza o rudezza critica ma ponendo le fondamenta ineludibili di una missione, quale la concepisce la Chiesa guardando alla parola evangelica. A maggior ragione nel contesto dell’Anno della vita consacrata.
Quali i punti dettati da Francesco con la sua nuova “grammatica”?
Consacrazione e missione. “Tutta l’esistenza di Cristo ha carattere missionario, gli uomini e le donne che lo seguono più da vicino assumono pienamente questo medesimo carattere”: negare il desiderio dell’annuncio missionario significa negare il vincolo di consacrazione con Cristo e rinchiudersi nel proprio ombelico sterile invece di proiettarsi in una fecondità dilatata.
La missione non è proselitismo o mera strategia. “La missione fa parte della ‘grammatica’ della fede, è qualcosa di imprescindibile per chi si pone in ascolto della voce dello Spirito che sussurra ‘vieni’ e ‘vai’”: i due verbi non possono sussistere che nella loro dinamica esistenziale, l’uno completa l’altro, altrimenti il passo della vita è zoppo.
Missione è duplice passione. “La missione è passione per Gesù Cristo e nello stesso tempo è passione per la gente”: come scindere il volto del Salvatore da quello dei salvati? L’esito sarebbe nullificante, non solo deludente, dimostrerebbe una visione astratta e non un impegno concreto di dedizione.
Il sogno. “Mi rivolgo soprattutto ai giovani, che sono ancora capaci di testimonianze coraggiose e di imprese generose e a volte controcorrente: non lasciatevi rubare il sogno di una missione vera, di una sequela di Gesù che implichi il dono totale di sé”; subirne il furto sarebbe catastrofico per l’equilibrio della persona e per la disintegrazione della risposta al progetto di Dio su di sé nella storia dell’intera umanità.
Precarietà e rinuncia. “Con il voto di povertà si sceglie di seguire Cristo in questa sua preferenza, non ideologicamente, ma come Lui identificandosi con i poveri, vivendo come loro nella precarietà dell’esistenza quotidiana e nella rinuncia all’esercizio di ogni potere per diventare fratelli e sorelle degli ultimi, portando loro la testimonianza della gioia del Vangelo e l’espressione della carità di Dio”: parole taglienti, ardue ma che rendono trasparente la persona e accrescono la porosità empatica verso chi, in un modo o nell’altro, soffre.
Le proprie radici. “Oggi, la missione è posta di fronte alla sfida di rispettare il bisogno di tutti i popoli di ripartire dalle proprie radici e di salvaguardare i valori delle rispettive culture”: se la Parola evangelica e il suo annuncio facessero piazza pulita delle radici e della cultura cui si rivolgono, si assimilerebbero allo sterminio mettendo in pericolo la stessa creazione di Dio.
La missione dei servitori della Parola. Per “vescovi, sacerdoti, religiosi e laici – è quella di mettere tutti, nessuno escluso, in rapporto personale con Cristo. Nell’immenso campo dell’azione missionaria della Chiesa, ogni battezzato è chiamato a vivere al meglio il suo impegno, secondo la sua personale situazione. Una risposta generosa a questa universale vocazione la possono offrire i consacrati e le consacrate, mediante un’intensa vita di preghiera e di unione con il Signore e col suo sacrificio redentore”: il richiamo al Battesimo e alla grazia ricevuta che esige di essere propulsiva, contagiosa e gioiosa è fondamentale.
La grammatica di Francesco ci insegna a disporre il soggetto, il complemento, l’aggettivo, il verbo e a costruire una frase che regga e abbia senso perché la nostra vita di cristiani si dispieghi in pienezza: ciascuno al proprio posto, quello che popolarmente viene detto “destino” ma che è il luogo benedetto scelto dal Padre per ognuno.
Con lo sguardo al “destino” del paradosso vivente: Teresa di Gesù Bambino, Patrona delle missioni, per l’anelito inesausto che l’animò, pur non avendo mai varcato la soglia di uno sconosciuto Carmelo normanno.
Redazione Papaboys (Fonte www.agensir.it / di Cristiana Dobner )

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