Italiae et Ecclesia

Viganò è un viziato di potere, Papa Francesco va solo ringraziato. Una lettera di fuoco da un parroco

Don Francesco Murana, parroco di Milis (Oristano), ha scritto una lettera aperta all’ ex nunzio a Washington autore del dossier contro Bergoglio: «Io sono un prete di campagna per scelta, ma crede davvero che non sia capace di vedere nelle sua accuse al Pontefice altri motivi e altre intenzioni? A Francesco non c’ è proprio nulla che gli si possa appuntare»

«Cosa ha fatto Lei di bene per me e per i parrocchiani con cui vivo? Niente». Don Francesco Murana, 58 anni, parroco di Milis, un paesino della Sardegna in provincia di Oristano, è indignato per le accuse rivolte al Papa dall’ex nunzio a Washington, monsignor Carlo Maria Viganò. E ci ha tenuto a farglielo sapere, inviandogli una lettera aperta pubblicata sul quotidiano l’ Unione Sarda che poi è diventato virale sui social con relativo corteo di pareri pro e contro. «Se legge la versione on line della lettera vedrà ogni sorta di insulto contro di me», racconta a Famiglia Cristiana. Ma don Francesco non se ne cura. Ciò che gli preme è far arrivare la sua solidarietà al Papa e il proprio dissenso all’ ex nunzio che lo accusa. Secondo lui, il dossier contro papa Francesco non fa certo bene alla Chiesa e avrà il solo affetto di far perdere tempo al Pontefice nel suo impegno di condurre la barca di Pietro. Il parroco della diocesi di Oristano lo spiega bene con un esempio tratto dalla lingua sarda: «Lei», scrive rivolto a monsignor Viganò, «è un imboddiosu: uno che prende una matassa che non è sua e fa i nodi al filo; costringendo così la filatrice a perdere tempo nello scioglierli per continuare a tessere».

Don Francesco, si capisce, è un pastore che vuole bene alle sue pecore e non ha peli sulla lingua. Nella lettera aperta scrive: «Io sono un prete di campagna per scelta, ma crede davvero che non sia capace di vedere nelle sua accuse a papa Francesco altri motivi e altre intenzioni?» E chiarisce: «Davanti a tutti noi preti che sputiamo sangue ogni giorno, in solitudine, voi giocate a fare i prelati, serviti e riveriti in tutto. Così viziati di potere che non vedete altro, corrosi di gelosia per il troppo tempo a disposizione, mai sazi del ricevuto e sempre a guardare “i posti che contano” occupati dagli altri».

Secondo don Francesco, invece, no, il Papa non è così. «Son sicuro che Papa Francesco è capace di friggere un uovo e lavarsi i calzini da solo. Di Lei no; di Lei ha solo la certezza che pur di cavalcare un capriccio fatto “per il bene della Chiesa” è capace di rivangare letame altrui».




«La lettera mi è uscita di getto, sono le cose che mi escono meglio», racconta, e lo si capisce bene da quell’ «Egregia Eminenza» con cui si appella a monsignor Viganò, dizione formalmente imprecisa, perché secondo i canoni curiali a un vescovo ci rivolge con «eccellenza reverendissima». Ma don Francesco non è certo un prete che bada a queste cose. Gli interessa la sostanza: «I miei parrocchiani sono tutti con il Papa. Non c’ è proprio nulla che gli si possa appuntare: possiamo solo ringraziarlo per la semplicità con cui ci dice la verità della fede. Io lo definisco il parroco del mondo».

Cosa ha amareggiato di più don Francesco Murana? «Il fatto che questa denuncia di Viganò non è nello stile del Vangelo. Anche san Paolo contesta san Pietro che rifiuta di sedersi accanto ai cristiani di origine pagana. L’ apostolo lo riprende, ma mica gli chiede le dimissioni. La correzione fraterna non si fa sui giornali».

Ecco il testo integrale della lettera di don Francesco Murana a monsignor Viganò
Egregia Eminenza,

le scrivo dalle pagine di un giornale “di periferia”; quelle periferie tanto amate sia dal Signore (cresciuto a Nazareth, al suo tempo paesino di montagna) sia dall’attuale Pontefice, Papa Francesco. Chi le scrive è un prete che ha studiato a Roma e che ha avuto molte possibilità di trovare uno spazio “comodo e adeguato” per imboscarsi in uno dei tanti uffici e dicasteri che l’enorme apparato della Curia Romana offre. Ma ho scelto, già dal 1986, di andare nelle periferie della Sardegna, tagliandomi così le gambe ad ogni possibile “carriera”.

Se il Signore vuole altro da me, inventerà Lui le strade perché io faccia altro e altrove.

In questi anni che sono trascorsi (32!) ho visto accadere di tutto dentro il clero. Sono rimasto fermo e zitto al mio posto cercando di dare. Ho gioito e gioisco perché abbiamo un Papa come Francesco. È veramente umano e non è ipocrita (in senso greco! Non è attore, non recita il ruolo). È se stesso e – per quanto è sincero – talvolta scivola in linguaggi da parroco e – visto che io parroco lo sono – mi sento meno solo. Lo sento vicino.

Invece, a Lei, la sento lontano.

A parte che dovrebbe accontentarsi di essere arrivato a settantasette anni e di aver fatto una vita più che comoda e riverita… Le chiedo: cosa vuole ancora? Io sono prete di campagna per scelta, ma crede davvero che non sia capace di vedere nelle sue accuse a Papa Francesco altri motivi ed altre intenzioni?

Lei accusa Papa Francesco di silenzio. Ma si rende conto che Lei può essere accusato della stessa accusa, visto che si sveglia dopo cinque anni? Visto che ha dormito per cinque anni, nelle prossime undici pagine ci racconta di cosa ha sognato? Si vergogni.

Davanti a tutti noi preti che sputiamo sangue ogni giorno, in solitudine: voi giocate a fare i prelati, serviti e riveriti in tutto. Così viziati di potere che non vedete altro, corrosi di gelosia per il troppo tempo a disposizione, mai sazi del ricevuto e sempre a guardare “i posti che contano” occupati dagli altri. Son sicuro che Papa Francesco è capace di friggere un uovo e lavarsi i calzini da solo. Di Lei no; di Lei ho solo la certezza che pur di cavalcare un suo capriccio fatto “per il bene della Chiesa” è capace di rivangare letame altrui. Io sono nella Chiesa: cosa ha fatto Lei di bene per me e per i parrocchiani con cui vivo? Niente. In lingua sarda, Lei è un “imboddiosu”: uno che prende una matassa che non è sua e fa nodi al filo; costringendo così la filatrice a perdere tempo nello scioglierli per continuare a tessere…

Il lavoro andrà avanti, ma avremo perso tempo grazie all’imboddiosu di turno.

Grazie a Lei abbiamo perso – per l’ennesima volta – faccia e tempo.

Guardando Lei mi voglio altro e altrove”.

Don Francesco Murana, Parroco di Milis, Diocesi di Oristano

Fonte m.famigliacristiana.it

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