L’arcivescovo Carlo Maria e il fratello don Lorenzo, studioso della civiltà mesopotamica, tenevano cointestati i loro consistenti beni di famiglia che nel 2010 comprendeva immobili per un valore stimato in circa 20 milioni di euro più una notevole somma liquida pari a oltre sei milioni di euro. L’eredità era stata sempre gestita dall’arcivescovo, a lungo Delegato per le rappresentanze pontificie, quindi segretario del Governatorato vaticano e infine nunzio apostolico a Washington dopo la rottura dei rapporti con il Segretario di Stato Tarcisio Bertone e con lo stesso Papa Benedetto XVI.
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L’ex nunzio, secondo quando si legge nella sentenza, aveva continuato a percepire i proventi dei beni immobili e la disponibilità del denaro liquido, ottenendo complessivamente di «di operazioni per un importo netto di euro 3.649.866,25». La metà di questa cifra dovrà ora essere pagata al fratello don Lorenzo. Il sacerdote era stato citato dall’arcivescovo alla vigilia di Vatileaks, quando Carlo Maria aveva cercato di non lasciare il Vaticano scrivendo a Benedetto XVI di non poter assumere l’incarico di nunzio apostolico negli Usa a motivo della malattia del fratello del quale doveva prendersi cura.
È vero che don Lorenzo Viganò, residente a Chicago, era stato colpito da un ictus che lo ha costretto in sedia a rotelle, ma non è vero che la missione americana del fratello avrebbe impedito di prendersene cura. Anzi, li avrebbe avvicinati. Era emerso in quella circostanza come in realtà i rapporti tra i due fratelli fossero compromessi proprio per questioni legate alla gestione dell’eredità. Don Lorenzo già nel 2010 aveva infatti fatto causa a Carlo Maria. Nelle scorse settimane è arrivata la prima sentenza sul caso.
Come si ricorderà, lo scorso 26 agosto Carlo Maria Viganò pubblicava, grazie al circuito politico-mediatico antipapale con base negli Stati Uniti e in Italia, un dossier con accuse (e significativi omissis) contro Francesco per il caso del cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington e molestatore di seminaristi. Il prelato, ripetutamente promosso dagli anni Ottanta al 2000, è stato pesantemente sanzionato da Papa Bergoglio – che gli ha tolto la porpora con un provvedimento che nella Chiesa cattolica non accadeva da 91 anni – nel momento in cui per la prima volta è apparsa una denuncia credibile di abuso su un minore che il quasi novantenne ex porporato aveva commesso quando era sacerdote.
Viganò, supportato da diversi vescovi statunitensi, si è ritagliato nelle ultime settimane un ruolo da protagonista, arrivando due giorni fa a firmare un messaggio a tutti i partecipanti alla riunione della Conferenza episcopale degli Stati Uniti per chiedere loro di resistere al Papa.
fonte: Vatican Insider
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