”Sappiamo solo che la signora e la figlia abitano nella zona di Padova, ma niente di più. Dell’uomo, che a sua volta stava rischiando di morire tra le onde, non conosciamo neanche il nome”. Questo comportamento è davvero incredibile: “Enzo – dicono gli amici – è morto per salvarli dalle correnti e loro non si sono mai fatti sentire”.
Le persone salvate sono sparite. Subito. Volatilizzate. Vive ma anonime. Neanche un grazie dopo essersi riprese. Neanche un timido e delicato contatto con la famiglia del loro salvatore. Cosa ci succede? Che cancro interiore ci uccide pure quando veniamo salvati? Se non dico grazie, se non sosto davanti alla bara di chi ha fatto a scambio della sua vita con la mia, se non sento il dovere di restituire un po’ di pace con la mia gratitudine a chi piange il proprio caro, cosa mi sta divorando?
Se nemmeno aver visto la morte in faccia, mi fa alzare il viso verso l’altro, chi potrà salvarmi dal mio egoismo?
Non saper dire grazie è egoismo. Non è maleducazione. Forse è proprio la grandezza del dono che quest’uomo ha fatto, a schiacciare e spaventare. La vita. Addirittura la vita. “Nella vita nessuno ti regala nulla” dice il padre al figlio che prende la prima fregatura. Figurati allora se qualcuno, allora, ti regala la vita, la propria vita. Non ci siamo abituati. Che si fa?
Si diventa ingrati non facendo cose cattive, ma non facendo nulla. Si diventa cinici non disprezzando ma tacendo. Come fare a ritrovare la grazia di un Grazie? Dov’è finita la mia capacità di gratitudine? Come faccio a riconoscermi debitore, gran debitore? Forse imparando a trovare il tempo, il piccolo tempo quotidiano, per ringraziare chi mi è accanto per una cosa piccola. La porta dell’ascensore tenuta aperta o il posto del parcheggio. Cerchiamo il tempo per ringraziare. Non è solo per essere educati: è per essere vivi.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost
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