R. – Da quando il cardinale ci ha annunciato che sarebbe venuto il Papa siamo andati un po’ in fibrillazione, perché il tempo era abbastanza breve; però ci siamo mossi. Abbiamo coinvolto tutte le persone della parrocchia, tutte le organizzazioni e associazioni per tentare, prima di tutto, di fare capire loro e ai bambini durante il catechismo chi era il Papa e cosa veniva a fare qui. Poi, ovviamente, in tutte le organizzazioni si è svolta una sorta di veglia di preghiera proprio perché la visita riesca al meglio possibile.
D. – Ci vuole raccontare che parrocchia è Regina Pacis?
R. – La parrocchia ha una storia ormai vecchia di 90 anni, molto lunga. È stata la prima chiesa costruita ad Ostia; una chiesa dall’architettura molto bella in stile neoclassico. Costituiva un po’ la cattedrale di Ostia voluta direttamente da Pio XI e dal cardinale Vannutelli. Ovviamente all’epoca – si tratta degli anni 20, più precisamente intorno al 1926-1928 – per la Messa di consacrazione della chiesa la popolazione era molto meno numerosa di quella che oggi è presente. Quello della parrocchia è un territorio piuttosto vasto; comprende probabilmente 22-25mila abitanti.
D. – Che quartiere è Ostia?
R. – Ostia continua a conservare un ceto medio-borghese, costituito ormai dagli anziani. I nuovi sono molto frastagliati nelle loro formazioni, perché ci sono formazioni etniche di diverso livello: dai rumeni, ai polacchi agli egiziani – la prima comunità qui ad Ostia – e da tutte le persone che stanno iniziando a venire a seguito degli sbarchi. È diventata una città estremamente popolosa ma anche molto differenziata.
D. – Quali sono le difficoltà di fare il parroco in una situazione diversificata come questa?
R. – Mantenere la tradizione di quella che è la prima chiesa di Ostia e cominciare a capire i nuovi bisogni le nuove esigenze che stanno nascendo con i nuovi arrivi, con le nuove generazioni, e quindi questa multietnicità che si sviluppa costantemente.
D. – Quali sono questi bisogni che lei da parroco si vede magari tutti i giorni sotto gli occhi?
R. – I bisogni sono un po’ quelli che vedo in tutti gli italiani: la crisi che ha coinvolto l’Italia ha coinvolto anche Ostia; quindi l’imprenditoria che non va molto bene, la disoccupazione altissima, giovani che cercano lavoro e molti che se ne vanno … è un fenomeno comune anche qui. Poi ovviamente i bisogni delle persone che non hanno né casa né stipendi o modo di poter vivere quindi ovviamente si rivolgono sempre a noi.
D. – Tornando alla visita lei come parroco che frutti si aspetta?
R. – È un po’ difficile. Sull’onda dell’emotività potrei dire: “Speriamo”; più di questo non posso dire. Ma certamente mi aspetto che innanzi tutto la presenza del Papa che è amato – dobbiamo riconoscere che è una persona che sa parlare al cuore dell’uomo – possa lasciare un segno; poi mi aspetto una grande partecipazione, che già c’è, ma spero in qualcosa di più soprattutto per i giovani che vedono arrivare il pastore. La figura è importante per loro, vedono materializzarsi probabilmente colui che poi sta vicino alla gente, dà motivazioni … Quindi l’aspettativa è tanta, devo dire la verità.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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