Offrire un modello concreto di comunità
“In una società dello scontro, della difficile convivenza tra culture diverse, della sopraffazione sui più deboli, delle disuguaglianze – ha affermato -, siamo chiamati ad offrire un modello concreto di comunità che, attraverso il riconoscimento della dignità di ogni persona e della condivisione del dono di cui ognuno è portatore, permetta di vivere rapporti fraterni”. È attraverso la qualità delle relazioni che passa la profezia della vita consacrata. Per raggiungere questo obiettivo la formazione integrale deve essere attenta a tutte le dimensioni (intellettuale ed emotiva, individuale e comunitaria, personale e sociale, affettiva e sessuale).
Fare splendere nell’umano la vita divina come santità
“La vocazione è alla santità – ha detto Michelina Tenace, docente alla Pontificia Università Gregoriana -. La formazione non ha altro fondamento: fare splendere nell’umano la vita divina come santità, formazione allo stesso sentire di Cristo Gesù”.
Costruire la propria vita attorno a un centro vitale che è il mistero pasquale
Questa mattina Claudia Peña y Lillo, delle Figlie di San Paolo e docente presso l’università Diego Portales di Santiago, parlando della pedagogia della formazione ha detto che “è urgente una pedagogia formativa che consideri la formazione come un unico progetto che deve guidare la formazione iniziale e permanente, in cui nella prima formazione inizia a maturare la “docibilitas” per trovarci con un soggetto ‘disponibile’ a lasciarsi formare sempre, nella continuità di un processo di formazione iniziale e permanente”. È fondamentale – ha sottolineato – acquisire la capacità di costruire e ricostruire la propria vita attorno ad un ‘centro vitale’ che, per il credente, “è il mistero pasquale, la croce del Figlio che, elevato da terra, attrae tutti a sé”.
Fare esegesi della propria vita
Così sintetizza l’itinerario formativo padre Riccardo Volo, missionario clarettiano, docente presso la Pontificia Università Lateranense e l’Istituto di Teologia della Vita consacrata Claretianum in Roma. Leggere la vita in modo ‘sapienziale’, cercare di trarre profitto e insegnamento dalle esperienze del quotidiano per maturare come persone e figli di Dio. Imparare da Gesù-formatore, dalla sua pedagogia, dalla sua testimonianza: Gesù è modello di misericordia, si commuove davanti alle folle che non hanno cibo, si lascia interpellare dalle necessità dei poveri, li fa “uscire dalle loro sicurezze interne, dai loro pregiudizi, dalla loro ristrettezza di vedute, dalle loro intolleranze personali, culturali e religiose… Nel modello di formazione impostato da Gesù, i poveri, nel contesto delle loro situazioni umane e spirituali, sono ‘formatori’ dei discepoli”.
L’invito ai formatori a “ritornare in Galilea” per annunciare la Buona Notizia
Gesù ha un modo di formare diverso con ciascuno: segue il cammino di maturazione di Pietro, segnato da forti contrasti; fa una chiamata personale ai discepoli, li chiama a vivere con lui ed a partecipare alla sua missione. Quando il discepoli tornano, dialoga con loro, ascolta i dubbi, i malintesi, i timori e li aiuta a discernere la realtà, a comprenderla, a “contemplare la vita attraverso gli occhi della fede e della grazia”. L’esegesi biblica – conclude Volo – deve diventare esegesi vitale. L’invito che il Risorto fa di “ritornare in Galilea” per annunciare la Buona Notizia è rivolto ai discepoli e a tutti i formatori. «È un invito a “camminare” con altri … per riprendere il cammino, aiutando altri, consigliando, correggendo, esortando, insegnando… Ma soprattutto, istruendo con la testimonianza della loro vita. Rivelando la propria passione per colui che seguono, il Signore».
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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