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Vittime Tunisi. Il sacrificio di Orazio e Antonella non sia vano

Monsignor Nosiglia celebra i funerali dei due torinesi rimasti vittime dell’attentato a Tunisi.

Le parole di “conforto” e di “solidarietà” verso i familiari delle vittime dell’attentato al Museo del Bardo di Tunisi sono “ben povera cosa” rispetto alla loro “profonda sofferenza”.

Lo ha detto oggi pomeriggio presso il Santuario della Consolata, monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, nell’omelia in occasione delle esequie di Orazio Conte e Antonella Sesino, che hanno perso la vita nella strage di Tunisi, assieme ad altre 23 persone.

Di fronte a una “follia omicida così brutale, irrazionale e disumana che ci lascia attoniti e sconvolti”, si può attingere speranza soltanto nella “preghiera”, nel “silenzio” e nell’“ascolto della Parola di Dio”, ha affermato il presule.

La vicinanza della Settimana Santa e della celebrazione della Pasqua, spingono comunque a ricordarci della “vittoria di Cristo sulla morte”, che “per Antonella e Orazio si sta compiendo ora e si compirà insieme con noi alla fine dei tempi”.

Le vittime della violenza terroristica sono quindi un segno delle Beatitudini evangeliche, assieme a “tutti coloro che anche oggi, nonostante tanta ingiustizia e violenza contro gente povera e innocente, tante malvagità e cattiverie verso chi opera nella legalità per la pace e la concordia tra i popoli e tra le diverse comunità religiose, si ostinano a credere che il bene è più forte del male e che alla lunga sarà l’amore a vincere l’odio e ogni via di violenza irrazionale e omicida”.

Monsignor Nosiglia si è detto “convinto che nel mondo esista un numeroso popolo di questi Beati, che sono presenti e attivi in ogni nazione” e che “operano per il rispetto di ogni persona, del suo credo religioso, della sua cultura e delle sue idee e scelte di vita, come del suo lavoro e della sua famiglia”.

L’arcivescovo di Torino ha poi auspicato il risveglio di una “coscienza collettiva” che non sia “rassegnata a ciò che appare a volte ineluttabile e che in realtà può essere vinto dalla volontà di bene che alberga nel cuore di ogni uomo e dall’impegno concorde di tutti”.

Quella di Tunisi è stata quindi una vera e propria “strage degli innocenti” che dovrebbe scuotere “la coscienza di ogni uomo di buona volontà” e renderci “tutti più consapevoli che chi si serve della violenza […] non avrà mai la vittoria”, perché “l’Amore e la volontà di pace e di rispetto di ogni persona, alla lunga, vinceranno, avendo dalla propria parte la potenza di Dio”.

Si tratta di una speranza che va sostenuta da un “concreto e condiviso impegno” per cambiare profondamente una mentalità occidentale “indebolita dal consumismo”, dalla brama “di beni, di soldi e di potere”, in una società “dove cresce la solitudine e la noia di una vita senza regole etiche condivise, una società sazia e stanca che sta perdendo la sua anima culturale e spirituale”.

È dalle “periferie esistenziali” evocate da papa Francesco che bisogna ripartire “per promuovere una società più giusta, equa e solidale che non lasci alcun spazio alla violenza, nessuna giustificazione per il prevalere di ideologie culturali, religiose o sociali che dividono e innalzano muri, là dove invece occorre gettare ponti di amore, di incontro e di collaborazione”.

Le Beatitudini, assieme all’“Inno alla carità”, non mostrano “l’utopia della società perfetta” ma ci spronano a “credere nella possibilità concreta di un mondo nuovo e diverso”.

L’arcivescovo di Torino ha poi concluso con l’auspicio che “il sacrificio dei cari defunti che oggi piangiamo non sarà stato vano e porterà molto frutto”.

A cura di Redazione Papaboys fonte: Zenit

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