Riflessioni e canti per vivere nella fede e nella pienezza la Settimana Santa..
Gesù era un senza casa, uno sfollato, e aveva bisogno che uno gli cedesse un po’ della sua, almeno per la Pasqua…
GIOVEDI’ – Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Il Cenacolo, “dove il Maestro mangerà la Pasqua con i suoi discepoli”, viene scelto e preparato in maniera prodigiosa. Così il “puledro d’asina”, che servì per l’ingresso, fu rinvenuto e messo a disposizione in circostanze simili. “Il Signore ne ha bisogno”; e le creature docilmente gli rispondono.
Del “patrono” della prima basilica e del primo altare non sappiamo neanche il nome. In seguito, né la leggenda né l’arte hanno mostrato di occuparsi di lui. Nella Cena di Emmaus, i più grandi pittori hanno fatto un po’ di posto al taverniere; e l’oste che cura per due denari il ferito portatogli nell’albergo dal Samaritano, è un personaggio che tutti vedono e conoscono. Invece, il padrone del Cenacolo viene scoperto a caso, seguendo un uomo che porta una brocca d’acqua. “Dite al padrone di casa: <<Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza da mangiarvi la Pasqua con i miei discepoli ?>>. Ed egli vi mostrerà di sopra una gran sala ammobiliata e pronta: quivi apparecchiate per noi”. Si rimane edificati e sorpresi davanti a una docilità senza uguali. Quanta fede in quel padrone di casa, e quanta generosità! Non solleva neanche un’obiezione davanti al desiderio del Signore; né mette fuori il conto della pensione. E i pretesti, senza parere scortese, potevano essere parecchi, e rivestire il carattere dell’impossibilità, il che accade ogni volta che vien meno la cordialità, sotto il timore di doverci scomodare.
Gesù era un senza casa, uno sfollato, e aveva bisogno che uno gli cedesse un po’ della sua, almeno per la Pasqua. Vi sono giorni in cui non si può mangiare sul margine della strada o all’ombra di un fico. Il cuore, assalito dai ricordi, o traboccante di un dono incontenibile, non può dichiararsi a un qualunque crocevia. Ci vuole un uscio che si apra e sopra una larga stanza, se no, sarebbe un sacrilegio. Questa sera l’amore di Cristo ha bisogno di questa stanza ma non vuota e dissipata come certe nostre cattedrali.
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Ne ha bisogno per lavare i piedi dei suoi poveri apostoli, per fare il Pane della vita, per suggellare l’istituzione col suo testamento. Ed ecco che un uomo senza nome, un padrone di casa, gli impresta la sua camera più bella. I senza casa di ogni tempo, gli sfollati di oggi, che sono milioni, hanno il loro santo protettore, un santo senza aureola, senza chiesa e senza altare, in colui che ha imprestato a Cristo la prima chiesa e il primo altare.
E gli ha dato ciò che aveva di più grande, perchè intorno al grande sacramento ci vuole tutto di grande, camera e cuori, parole e gesti. Oggi, tutte le chiese dovrebbero avere la massima latitudine spirituale per ospitare i diseredati e i tribolati di ogni fronte, per baciare dei poveri piedi, che hanno camminato migliaia e migliaia di chilometri nel fango e nella neve. Così fu il primo ostensorio eucaristico, preparato da quell’ignoto padrone di casa.
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Me lo raffiguro, alla fine del banchetto, con la moglie e i figliuoli, nel vano della porta semiaperta, farsi avanti per ultimo, mendicante più che commensale di
un Pane che aveva preparato con le sue mani e che il Cristo, benedicendolo, aveva cambiato in Pane di vita eterna.
(Fonte www.sangiovannicrisostomo.it/Primo Mazzolari)
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