(dall’archivio della Redazione) Un doppio legame mi tiene unito a don Oreste Benzi, di cui oggi ricorre l’ottavo anniversario della morte. Innanzitutto il rapporto epistolare intrattenuto con i lettori del “Corriere Cesenate” (settimanale della diocesi di Cesena-Sarsina). Dal 26 novembre 1994 sono state pubblicate centinaia di risposte: tredici anni di dialogo intenso, soprattutto con i giovani e i genitori. Ne facemmo un volume dall’eloquente titolo “Non posso tacere” uscito nel dicembre del 1999. Curai i testi che suddivisi in sette capitoli che si leggono tutto d’un fiato. Quegli scritti conservano tutta la loro forza e la loro attualità. Come prefazione, raccolsi un’intervista dal cardinale Ersilio Tonini. Il porporato descrisse don Oreste come “un uomo libero, perché è un uomo puro, innocente. I vetri limpidi accolgono tutto: il filo di luce nella notte e lo splendore del sole a mezzogiorno. È uno che ha dato libertà allo Spirito Santo di operare dentro di lui”.
Il secondo legame è del tutto personale. Mi sento un privilegiato. Senza temere di essere smentito, posso affermare di avere avuto l’opportunità di stare accanto a un santo. L’ho accompagnato in numerose occasioni. L’ho intervistato in pubblico in situazioni diversissime: dal Meeting di Rimini al carcere di Forlì, dalle parrocchie di campagna alle feste patronali. Siamo usciti insieme, di notte, per andare a recuperare le ragazze-schiave della prostituzione. Siamo stati in discoteca, fra migliaia di giovani scatenati e alla stazione, in mezzo ai barboni, a festeggiare il Capodanno.
Abbiamo scritto e presentato libri. Abbiamo avuto un rapporto stretto di cui vado orgoglioso e che custodisco come uno dei doni più preziosi che il buon Dio mi ha riservato. Ho appreso in questi giorni che il vescovo di Rimini ha ricevuto la richiesta formale di aprire la causa di beatificazione di don Oreste. È senz’altro una bella notizia. L’ho letta con piacere e ne sono contento. Ma don Benzi per me e per migliaia di persone è già santo. Esiste una “vox populi” verso il sacerdote dalla tonaca lisa che lo ha già elevato all’onore degli altari. Don Oreste ha inciso nella mia esistenza, come in quella di tantissimi altri, in maniera determinante e indelebile. Ci ha trasmesso la passione per la vita, l’attenzione alla persona chiunque essa sia, imprenditore, parlamentare, zingaro, carcerato, bambino o prof.
Vedeva in chi gli stava davanti il volto di Cristo. Sempre e comunque. Era un mistico-operativo, come mi piace definirlo. Sì, “perché per stare in piedi – ripeteva a chi lo frequentava – bisogna stare in ginocchio”. Un uomo che, una volta compreso appieno che la vita è un dono del Signore, non poteva più permettersi di riposare nel suo letto. Non poteva perdere tempo: i talenti ricevuti vanno resi moltiplicati. Allora gli bastava appisolarsi in auto, nei lunghi trasferimenti per raggiungere le sue comunità sparse in tutta Italia, mentre sgranava il Rosario assieme ai suoi compagni di viaggio. Sì, don Oreste è già santo. Non importa se un giorno lo sarà ufficialmente (sono certo che avverrà). Per quel che ha lasciato, per come ha vissuto, per l’amore che ha diffuso a piene mani, per il bene che ha voluto a tutti quelli che ha incontrato, ha già ottenuto questo riconoscimento. Non ha mai portato avanti se stesso. Ha sempre annunciato e testimoniato l’incontro decisivo della sua vita. In una parola, ci ha fatto comprendere che l’esperienza cristiana è un guadagno tangibile, il “centuplo quaggiù”. Ora il don, come lo chiamano con affetto i suoi della “Papa Giovanni XXIII”, lo sperimenta nella compagnia dei santi.
Francesco Zanotti per Agenzia Sir
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