Scopriamo insieme la straordinaria esistenza di San Francesco, il “poverello” che ha “salvato” la Chiesa con il Vangelo e la semplicità.
(Testi da santiebeati.it/Antonio Borrelli – it.cathopedia.org)
Nasce ad Assisi nel 1182 (ma secondo altri la nascita potrebbe però datarsi all’estate o all’autunno 1181); era il figlio di Pietro di Bernardone, commerciante di stoffe, e da Giovanna detta Pica, nobile di origine forse provenzale. Secondo la tradizione, sembra che anche il santo sia nato in una stalla, improvvisata al pianterreno della casa paterna. In seguito detta “Stalletta” o “Oratorio di San Francesco piccolino”.
La madre, in assenza del marito Pietro, impegnato in un viaggio di affari in Provenza, lo battezzò con il nome di Giovanni, in onore del Battista. Tuttavia, al suo ritorno, il padre volle aggiungergli il nome di Francesco, che prevarrà poi sul primo. Questo aggettivo corrisponde all’attuale “francese”. La motivazione potrebbe essere sia un omaggio alla Francia, meta dei suoi frequenti viaggi, sia dovuto al fatto che la madre fosse francese.
Le varie agiografie del santo non parlano molto della sua infanzia e della sua giovinezza: è comunque ragionevole ritenere che egli fosse stato indirizzato dal padre a prendere il suo posto negli affari della famiglia. Dopo aver frequentato la scuola presso i canonici della cattedrale, nella chiesa di San Giorgio (dove, a partire dal 1257, venne costruita l’attuale basilica di Santa Chiara), a 14 anni Francesco si dedicò a pieno titolo all’attività del commercio.
Egli trascorreva la sua giovinezza tra le liete brigate degli aristocratici assisani e la cura degli affari paterni, riguardanti l’attività di commercio dei tessuti.
Era molto attento e partecipe delle vicende del suo borgo e vestiva panni preziosi esibendo gioielli raffinati, ed era perciò il partito più ambito per le fanciulle di Assisi; primeggiava fra i giovani, amava le allegre brigate e spendeva con una certa prodigalità il denaro paterno, tanto da essere acclamato “rex iuvenum” (re dei giovani), titolo che lo poneva alla direzione delle feste.
Vedendo le schiere di mendicanti che passavano davanti alla sua casa senza osare entrare nel fondaco iniziò a percepire il contrasto tra la ricchezza della sua famiglia e l’indigenza di tanta gente della sua città.
Nel 1054 scoppiò una prima guerra tra Assisi a Perugia; tra le due città esisteva una rivalità irriducibile: Perugia era papale, mentre Assisi, insieme a Foligno e Todi, era imperiale. Del 1202 è la battaglia di Collestrada, vicino a Perugia; Francesco vi partecipò come i suoi coetanei.
A seguito della vittoria dei perugini Francesco venne catturato e rimase prigioniero nelle carceri di Perugia per un anno. La prigionia fu per lui un’esperienza fondamentale, che lo indusse a un totale ripensamento della sua vita. Fu in questo periodo che iniziò a maturare in lui l’esigenza insopprimibile di scoprire quel valore che riterrà poi decisivo nella vita di ogni uomo: la pace donata da Cristo.
La guerra terminò nel 1203 e Francesco ottenne la libertà grazie a un trattato sui prigionieri di guerra che, in caso di malattia, ne imponeva la liberazione dietro il pagamento di un riscatto: incombenza a cui provvide il padre, Pietro di Bernardone. Francesco, tornato a casa, recuperò gradatamente la salute.
Trascorrendo molto tempo tra i possedimenti del padre in luoghi bellissimi e appartati, si risvegliò in lui uno sguardo contemplativo sulla natura, vista come opera mirabile di Dio. Il desiderio di giustizia lo portò l’anno seguente (1204-1205) a tentare la strada della crociata. Si trattava di raggiungere, a Lecce, la raffinata corte di Gualtieri di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme. Era il sogno di ogni uomo: vestire una splendida armatura, uscire dalla noiosa provincia e partire all’avventura sotto le insegne della fede cristiana d’Occidente.
Avvenne però che a Spoleto Francesco si riammalò e, persuaso da una rivelazione notturna, ritornò subito a casa. Una voce gli avrebbe detto: “Francesco…Francesco…dimmi chi vuoi servire, il servo o il padrone?”
Ormai Francesco non è più lo stesso di prima: rifugge la compagnia; preferisce la solitudine; si accompagna di frequente a mendicanti e straccioni. A Roma, dove viene mandato dal padre a vendere una partita di merce, non solo distribuisce il denaro ricavato ai poveri, ma scambia le sue vesti con quelle di un mendicante e si mette a chiedere l’elemosina davanti alla porta di San Pietro.
Nel 1205, poi, nella chiesina diroccata di San Damiano, il crocifisso gli parla: «Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restauramela. »Capendo quelle parole come una richiesta di un restauro fisico della piccola chiesetta, fece incetta di stoffe nel negozio del padre e andò a Foligno a venderle; vendette anche il cavallo, tornò a casa a piedi e offrì il denaro ricavato al sacerdote di San Damiano.
Ciò rese furente il padre e in città tutti pensarono che avesse perso la testa o che fosse preda di qualche influenza maligna. Tutta la città fu solidale con il padre, che vedeva dissolte le speranze riposte nel figlio.
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Pietro di Bernardone cercò, all’inizio, di segregare il figlio per nasconderlo alla gente. Poi, vista la sua impotenza di fronte all’irriducibile “testardaggine” di Francesco, decise di denunciarlo ai Consoli, non tanto per il danno economico subito, quanto piuttosto con la segreta speranza che il giovane cambiasse atteggiamento. La colpa di Francesco prevedeva una pena molto dura: il bando dalla città.
Il giovane, però, si appellò al Vescovo, in forza di una bolla di Innocenzo III, nella quale si affermava che nessun religioso poteva essere giudicato senza il consenso del suo superiore. Francesco si era affidato ormai alle cure del sacerdote di San Damiano e si considera perciò uomo di Chiesa e come tale giudicabile solo dalle autorità ecclesiali. Tutta la città di Assisi si radunò per quel giudizio, svoltosi un giorno di gennaio o febbraio 1206.
Il processo si svolse all’aperto, sulla piazza di Santa Maria Maggiore, davanti al palazzo del Vescovo. “ Il figlio, non appena il padre finì di parlare: «non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né fece parole; ma immediatamente, depose tutti i vestiti e li restituì al padre […] e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: “Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza“.»
Il vescovo Guido ricoprì pudicamente Francesco e, con quest’atto di manifesta protezione, riconobbe l’autenticità della sua vocazione e lo pose sotto la protezione della Chiesa.
Il giovane fu affidato ai benedettini, con la speranza che potesse trovare nel loro monastero la soddisfazione alle sue esigenze spirituali. I rapporti con i monaci furono buoni, ma riconobbe non era quella la sua strada. Ben presto riprese la sua vita di “araldo di Gesù re”: indossò i panni del penitente e prese a girare per le strade di Assisi e dei paesi vicini, pregando, servendo i più poveri, consolando i lebbrosi e ricostruendo, oltre San Damiano, le chiesette diroccate di San Pietro alla Spira e di Santa Maria degli Angeli.
Nell’aprile del 1208, durante la celebrazione della Messa a Santa Maria degli Angeli, Francesco ascoltò dal celebrante la lettura del Vangelo di Matteo sulla missione degli Apostoli. In breve tempo, riconobbe che quelle parole di Gesù costituivano la risposta alle sue preghiere e alle sue domande.
L’invito del Crocifisso a San Damiano non si riferiva quindi alla ricostruzione del piccolo tempio, ma al rinnovamento della Chiesa nei suoi membri. Depose allora i panni del penitente: indossò un abito di tela ruvida, si cinse i fianchi con una rude corda e si coprì il capo con il cappuccio in uso presso i contadini del tempo. Camminava a piedi scalzi.
Iniziò così la sua nuova vita. Rendendosi interprete di sentimenti diffusi nel suo tempo, prese a predicare la pace, l’uguaglianza fra gli uomini, il distacco dalle ricchezze e la dignità della povertà, l’amore per tutte le creature di Dio e al disopra di ogni cosa e la venuta del regno di Dio.
Ben presto, attirati dalla sua predicazione, si affiancarono a Francesco quelli che sarebbero diventati suoi inseparabili compagni: Bernardo di Quintavalle, un ricco mercante; Pietro Cattani, dottore in legge; Egidio, contadino. A loro si aggiunsero poco dopo anche Leone, Rufino, Elia, Ginepro e altri, fino al numero di dodici, proprio come gli Apostoli.
Il loro impegno era vivere alla lettera il Vangelo. Senza preoccupazioni teologiche e senza ambizioni riformatrici o contestazioni morali e in obbedienza alle autorità religiose: indicavano così un nuovo stile a chi voleva vivere in carità e povertà all’interno della Chiesa.
Il vescovo di Assisi li seguiva con interesse e permise loro di predicare.
Si riunirono in una capanna nella località di Rivotorto, poi presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli, detta “Porziuncola”. Durante un intero anno Francesco trasmise ai compagni i suoi insegnamenti, alternando preghiera, assistenza ai lebbrosi e questua per sostenersi e per riparare le chiese danneggiate.
Poiché ormai essi sconfinavano fuori dalla competenza della diocesi, e ciò poteva procurare problemi, il vescovo Guido consigliò Francesco e il suo gruppo di recarsi a Roma dal papa Innocenzo III per far approvare la loro regola di vita. Il loro sodalizio fu approvato oralmente dal Papa. Il quale rimase molto colpito da Francesco, dopo un incontro con lui e i suoi compagni.
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Tutta Assisi parlava delle “bizzarrie” di frate Francesco, che viveva in povertà con i compagni laggiù nella pianura e che spesso saliva in città a predicare il Vangelo. Nella primavera del 1209 aveva predicato perfino nella cattedrale di San Rufino.
Tra coloro che lo ascoltavano c’era Chiara degli Offreducci, figlia di una nobile famiglia. Colpita dalle sue parole, prese ad innamorarsi dei suoi ideali di povertà evangelica. Nella notte seguente la Domenica delle Palme del 1211, abbandonò di nascosto la casa paterna e giunse fino alla Porziuncola.
Francesco, davanti all’altare della Vergine, le tagliò la bionda e lunga capigliatura, poi l’accompagnò al monastero delle benedettine a Bastia. Solo dopo che Chiara ebbe mostrato ai parenti il segno della sua consacrazione, essi si convinsero a lasciarla stare, volevano per lei un matrimonio combinato a fini politici. Successivamente Chiara e le compagne che l’avevano raggiunta si spostarono nel piccolo convento annesso alla chiesetta di San Damiano. Nel 1215, a 22 anni, Chiara fu nominata badessa delle “Povere Dame di San Damiano” (poi dette Clarisse). Francesco dettò loro una prima Regola di vita, sostituita più tardi da quella composta dalla stessa Chiara.
Francesco desiderava non solo ricondurre il mondo cristiano agli originari principi evangelici, ma anche raggiungere i non credenti, specie i saraceni.
Se in quell’epoca i rapporti fra il mondo cristiano e quello islamico erano sostanzialmente di lotta, Francesco volle capovolgere questa mentalità: nei saraceni vedeva anzitutto dei fratelli a cui annunciare il Vangelo, non con le armi, ma offrendolo con amore: se fosse il caso, dovendo subire anche il martirio.
Mandò per questo i suoi frati anzitutto in Spagna , dove vennero condannati a morte e poi graziati dal Sultano. Un secondo invio fu in Marocco, dove il rischio del martirio si concretizzò: i frati Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto e Ottone, mentre predicavano, furono arrestati e poi vennero imprigionati, flagellati e infine decapitati il 16 gennaio 1220.
Il ritorno in Portogallo dei corpi dei protomartiri, suscitò la vocazione francescana in un canonico regolare di Sant’Agostino, Ferdinando: divenne quel frate Antonio, detto di Padova, destinato a diventare uno dei santi più grandi della storia.
Francesco non si scoraggiò: nel 1219-1220 volle tentare personalmente l’impresa missionaria diretto in Marocco, ma una tempesta spinse la nave sulla costa dalmata. Il secondo tentativo lo fece arrivare in Spagna, ma si ammalò e dovette tornare indietro. Infine, un terzo tentativo, lo fece approdare in Palestina.
Si presentò al sultano egiziano Al-Malik al Kamil, che lo ricevette con onore, ascoltandolo con interesse, pur non convertendosi.
Verso la metà del 1220, Francesco dovette ritornare in Italia per rimettere ordine fra i suoi frati, cresciuti ormai in numero considerevole. Appariva necessario risolvere alcuni problemi di organizzazione, di formazione, di studio, di adattamento alle necessità dell’apostolato in un mondo sempre in evoluzione.
Il “Poverello d’Assisi”, come divenne noto, non aveva infatti inteso fondare dei conventi, ma solo delle “fraternità”, piccoli gruppi di fratelli che vivessero in mezzo al mondo, mostrando come la felicità non risiedesse nel possedere i beni materiali, ma nel vivere in perfetta armonia secondo i comandamenti di Dio. Nell’affollato “capitolo delle stuoie”, tenutosi ad Assisi nel 1221, Francesco autorizzò frate Antonio, venuto da Lisbona, d’insegnare la sacra teologia ai frati, specie a quelli addetti alla predicazione e alle confessioni.
La nuova Regola, dettata da Francesco a frate Leone, fu accolta con soddisfazione dal cardinale protettore dell’Ordine, Ugolino de’ Conti (futuro papa Gregorio IX) e da tutti i frati. Venne approvata il 29 novembre 1223 da papa Onorio III con la bolla “Solet Annuere”: è infatti conosciuta come “Regola bollata”.
In essa si ribadivano la povertà, il lavoro manuale, la predicazione, la missione tra gli infedeli e l’equilibrio tra azione e contemplazione. Si permetteva ai frati di avere delle Case di formazione per i novizi e si stemperò il concetto di divieto della proprietà privata. Di fatto, i seguaci di Francesco erano venuti a costituire un Ordine mendicante, quello dei Frati Minori.
La notte del 24 dicembre 1223, Francesco si sentì invadere il cuore di tenerezza e di slancio. Volle rivivere nella selva di Greccio, vicino Rieti, l’umile nascita di Gesù Bambino. Nacque così la tradizione del Presepio nel mondo cristiano, che fu ripresa dall’arte e dalla devozione popolare lungo i secoli successivi.
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Nell’estate del 1224 Francesco si ritirò sul monte della Verna nel Casentino, insieme ad alcuni dei suoi primi compagni, per prepararsi con un digiuno di quaranta giorni alla festa di san Michele arcangelo.
La mattina del 14 settembre, festa della Esaltazione della Santa Croce, mentre pregava su un fianco del monte, vide scendere dal cielo un serafino con sei ali di fiamma e di luce, che gli si avvicinò in volo rimanendo sospeso nell’aria. Fra le ali del serafino, Francesco vide lampeggiare la figura di un uomo con mani e piedi distesi e inchiodati ad una croce. Quando la visione scomparve, lasciò nel cuore del frate un ammirabile ardore e nella carne i segni della crocifissione.
Disceso dalla Verna, visibilmente dolorante e trasformato, volle ritornare ad Assisi. Era anche prostrato da varie malattie, allo stomaco, alla milza e al fegato, con frequenti emottisi. Inoltre la vista lo stava lasciando, a causa di un tracoma contratto durante il suo viaggio in Oriente.
Dopo le ultime prediche all’inizio del 1225, Francesco si rifugiò a San Damiano, nel piccolo convento annesso alla chiesetta da lui restaurata tanti anni prima, dove vivevano Chiara e le sue sorelle.
In quel luogo compose il “Cantico di frate Sole” o “Cantico delle Creature”, dal quale si comprende quanto Francesco fosse penetrato nella più intima realtà della natura, contemplando in ogni creatura la presenza di Dio.
È il testo poetico più antico della letteratura italiana di cui si conosca l’autore. In seguito, ospite per un certo tempo nel palazzo vescovile, dettò anche il suo famoso «Testamento», l’ultimo messaggio ai suoi figli, affinché rimanessero fedeli a “madonna Povertà”. In esso affermò: «Nessuno mi insegnava quel che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo il Santo Vangelo».
Per l’interessamento del cardinale Ugolino e di frate Elia, Francesco accettò di sottoporsi alle cure dei medici della corte papale a Rieti, poi ancora a Fabriano, Siena e Cortona.
Nell’estate del 1226 non solo non era migliorato, ma si fece sempre più evidente il sorgere di un’altra grave malattia: l’idropisia.
Dopo un’altra sosta a Bagnara, sulle montagne vicino a Nocera Umbra, perché potesse avere un po’ di refrigerio, i frati visto l’aggravarsi delle sue condizioni, decisero di trasportarlo ad Assisi e su sua richiesta all’amata Porziuncola.
Francesco morì in quel luogo la sera del 3 ottobre 1226, adagiato sulla nuda terra.
Secondo la leggenda le allodole, amanti della luce e timorose del buio, nonostante che fosse già sera, vennero a roteare sul tetto dell’infermeria.
Appariva quasi un ultimo saluto a colui che un giorno, fra Camara e Bevagna, aveva invitato gli uccelli a cantare lodando il Signore, e che in un’altra occasione, in un campo verso Montefalco, aveva tenuto loro una predica.
La mattina del 4 ottobre, il suo corpo di Francesco fu traslato con una solenne processione dalla Porziuncola alla chiesa parrocchiale di San Giorgio ad Assisi, dove era stato battezzato e dove aveva cominciato, nel 1208, la sua predicazione.
Lungo il percorso il corteo si fermò a San Damiano, dove la cassa fu aperta, affinché santa Chiara e le sue compagne potessero vedere un’ultima volta il suo viso.
Il 16 luglio 1228, papa Gregorio IX, a meno di due anni dalla morte, lo proclamò santo, fissandone la memoria liturgica al 4 ottobre.
I suoi resti mortali rimasero nella chiesa di San Giorgio rimase tumulato fino al 1230, quando venne portato nella Basilica a lui dedicata, precisamente nella Basilica Inferiore, fatta costruire da frate Elia.
Gli episodi della sua vita e dei suoi primi seguaci, furono raccolti e narrati nei «Fioretti di San Francesco», opera di un anonimo trecentesco, che contribuì nel tempo alla larga diffusione del suo culto, unitamente alla prima e seconda «Vita», scritte dal suo discepolo Tommaso da Celano (1190-1260), su richiesta di papa Gregorio IX.
Alcuni episodi sono entrati nell’iconografia del santo e riprodotti dall’arte, come la predica agli uccelli, il roseto in cui si rotolò per sfuggire alla tentazione, il lupo che ammansì a Gubbio, l’impressione delle Stimmate.
San Francesco è patrono dell’Umbria e di molte città, fra le quali San Francisco negli USA che da lui prese il nome. Innumerevoli sono le chiese, le parrocchie, i conventi, i luoghi pubblici che portano il suo nome.
Tanti altri santi e beati, venuti dopo di lui, ebbero al battesimo o adottarono nella vita religiosa il suo nome. Papa Pio XII, con il Breve pontificio «La sollecita cura» del 18 giugno 1939, proclamò Patroni Primari d’Italia lui e santa Caterina da Siena. Anche i Lupetti e le Coccinelle dell’AGESCI (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani) lo considerano loro patrono.
L’Ordine dei Frati Minori si propagò rapidamente: vivente ancora il fondatore, annoverava già 13 Province. Il suo massimo responsabile prese il titolo di Ministro Generale.
Le Costituzioni furono redatte da fra Bonaventura da Bagnoregio, anche lui canonizzato. Mentre ancora l’organizzazione si stava consolidando, scoppiarono i primi contrasti. I membri dell’Ordine si divisero in due fazioni: la prima intendeva adottare forme meno severe di vita comunitaria e prescindere dall’obbligo assoluto della povertà, al fine di rendere meno difficile lo sviluppo dell’Ordine stesso.
La seconda, al contrario, si proponeva di uniformarsi alla lettera e allo spirito delle norme lasciate dal fondatore.
I numerosi tentativi per placare i dissensi non ebbero effetto, anzi questi si acuirono di più quando Gregorio IX, con la bolla «Quo elongati» (1230), concesse ai frati di ricevere beni e di amministrarli per le loro esigenze. Nel campo opposto, le correnti degli “Spirituali” e dei “Fraticelli”, portavano avanti un programma di rinnovamento religioso misto a una rinascita politico-sociale, che sarebbe dovuto sfociare nell’avvento del regno dello Spirito; tuttavia, si attirarono scomuniche e persecuzioni dalle autorità ecclesiastiche e feudali.
La divisione tra Frati Minori Osservanti e Conventuali fu sancita ufficialmente nel 1517 da papa Leone X.
Nel 1525 papa Clemente VII approvò il nuovo ramo dei frati Cappuccini: guidati dal frate Matteo da Bascio della Marca d’Ancona, Osservante, erano dediti ad una più austera disciplina, alla povertà assoluta e alla vita eremitica.
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Altre famiglie francescane riformate sorsero nei secoli (Alcantarini, Riformati, Amadeiti), in seno o a fianco degli Osservanti, ma tutte obbedivano al Ministro Generale dell’Osservanza. Ai membri delle varie famiglie dell’Osservanza papa Leone XIII, nel 1897, ingiunse di prendere il nome comune di Frati Minori.
L’Ordine francescano comprende quindi tre rami: il Primo Ordine, ossia i frati (sacerdoti e non), il Secondo Ordine, rappresentato dalle monache Clarisse, e il Terz’Ordine, fondato dallo stesso san Francesco nel 1221 per raccogliere i numerosi seguaci già sposati o comunque laici. Oltre alle pratiche religiose e ascetiche, i Frati Minori sono tuttora dediti alla predicazione, all’apostolato e all’opera missionaria.
O Dio, che per i meriti di San Francesco accrescesti la tua Chiesa di una nuova famiglia, concedici di disprezzare a suo esempio le cose terrene, e di poter partecipare alla gioia dei doni celesti.
Oppure:
Caro San Francesco oggi ti eleggo
a mio speciale patrono:
sostieni in me la Speranza,
confermami nella Fede,
rendimi forte nella Virtù.
Aiutami nella lotta spirituale,
ottienimi da Dio tutte le Grazie
che mi sono più necessarie
ed i meriti per conseguire con te
la Gloria Eterna…
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