Con l’ultima tappa a Ciudad Juarez, per alcune ore il Messico e gli Stati Uniti sono diventati una cosa sola perché la Messa era proprio dove sorge la rete anti-immigrati, a ottanta metri dal confine con gli Usa.
Non c’è solo il Muro di Berlino, c’è anche la rete anti-immigranti. Se, con tutti i suoi limiti, Wojtyla è stato importante perché cadesse la cortina di ferro tra est e ovest, Bergoglio sarà ricordato per lo sforzo nel gettare ponti tra nord e sud del mondo.
In Messico Papa Francesco chiede il dono di piangere, cioè il dono di avere verso questi reti lo stesso giudizio che avevamo verso il muro di Berlino o abbiamo ora per quello che divide oggi Israele e Palestina: prega adesso accanto alla rete come ha pregato a Betlemme appoggiato al muro. Sale sopra un palco che permette di vedere di qua e di là. Papa in alto, una rete che è un muro, un papa che è un ponte: pontefice appunto. Il Papa chiede il dono delle lacrime riguardo alla rete. È troppo poco? È solo poesia? Se abbiamo imparato che nella nostra vita il male vince quando ci rassegniamo ad esso, capiamo l’importanza di questo gesto.
Non dobbiamo abituarci ai muri, al mondo diviso da reti e confini invalicabili. Le lacrime servono a sottolineare che soffriamo, a parlare quando il cuore dice: non ho più parole per dire che sto soffrendo. “Sono le lacrime che possono aprire la strada alla trasformazione; sono le lacrime che possono ammorbidire il cuore, sono le lacrime che possono purificare lo sguardo e aiutare a vedere la spirale di peccato in cui molte volte si sta immersi”.
I numeri sono impressionanti. Il Papa parla di un’emergenza mondiale: la ferita che decenni fa divideva il mondo tra est ed ovest ora lo spacca tra nord e sud. Avviene tra Usa e Messico, accade nel mediterraneo tra Europa e Africa. Ci voleva un papa polacco per parlare di est e ovest, ci vuole un papa argentino per parlarci di nord e sud: per piangere la catastrofe di questo spostamento di popoli, di intere generazioni da una parte all’altra del mondo.
Per piangere però ci vogliono i nomi e i cognomi. Non si piange per le idee si piange per le persone. “Questa tragedia umana che è la migrazione forzata, rappresenta al giorno d’oggi un fenomeno globale. Ma anche una crisi, che anziché misurare in cifre noi vogliamo misurare con nomi, storie, famiglie”. A guardar bene infatti l’amore non costruisce ponti perché è un ponte esso stesso. E quando ci stanchiamo di costruire ponti e cominciamo a innalzare muri usando magari delle verità parziali, l’unica verità è che ci siamo stancati di amare.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost